A VOLTE RITORNA. Il nucleare ventidue anni dopo…
Dopo il vertice Italo francese del 24 febbraio scorso svoltosi a palazzo Madama che dato vita ad un accordo sul nucleare fra Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy e sancito la collaborazione fra i due Paesi si è aperto il dibattito sulla realizzazione delle prime quattro centrali nucleari di terza generazione da collocare sul suolo italiano.
Si ripropone la questione del nucleare sulla quale gli italiani si erano pronunciati nel 1987 con ben tre distinti referendum che hanno visto la risposta affermativa rispettivamente del 80,6 % per il primo che prevedeva l’abolizione della procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, del 79,7% per il secondo sulla abolizione dei contributi a regioni e comuni sedi di impianti elettronucleari, del 71,9% per il terzo per l’abolizione della partecipazione dell’Enel alla realizzazione di impianti elettronucleari all’estero (Fonte: Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari interni e territoriali, Direzione Centrale dei Servizi Elettorali).
Una nuova strategia energetica che, come ha riferito il ministro Scajola, prevede di ricavare dal nucleare il 25% del fabbisogno elettrico.
Fra i siti candidati per la realizzazione delle centrali si è parlato della Sicilia, candidata volontariamente dal Governatore Lombardo, ed in particolare della provincia di Ragusa.
Le reazioni sono state immediate: i sindaci, il Presidente della Provincia, Confindustria, le associazioni ambientaliste, i politici, i cittadini, tutti schierati per il “no”.
Una protesta che si è allargata anche sul web: su facebook parecchi gruppi per la raccolta delle firme contro il nucleare in provincia, motivando la scelta sulla zona sismica, sui vincoli ambientali, sulla valenza turistico – culturale del territorio, sulla vocazione agricola e zootecnica.
Da pochi giorni la smentita: in realtà non si tratterebbe di un sito in provincia di Ragusa, ma del territorio di Palma di Montechiaro.
Chiarito l’equivoco derivante da un banale errore di stampa (si sarebbe scritto RG al posto di AG) la situazione rimane la medesima e il quesito da risolvere è: vogliono davvero gli italiani tornare al nucleare quando si potrebbe investire in altre fonti di energia non inquinanti?
Il sindaco di Palma di Montechiaro con riferimento al suo territorio spiega: “La costa è collinare, con una orografia molto travagliata: benché dobbiamo sopportare i pali eolici messi su e giù per le colline, appare inverosimile che analogamente una centrale nucleare possa arrampicarsi sulle colline o scendere sul fianco di un calanco argilloso. Poiché non esiste un’area pianeggiante e regolare sufficientemente estesa, fatta eccezione per la piana posta tra la città ed il mare, non pare che si possa individuare un sito idoneo. D’altra parte metà della costa è tutelata come sito di interesse comunitario, l’altra metà dal vincolo paesaggistico ed è da ritenere che la centrale nucleare non sia perfettamente compatibile con i relativi regimi di tutela. Ancora, si potrebbe rilevare come in Trentino ed in Germania vi sia stata una grande diffusione di impianti fotovoltaici ed è ben singolare che in Sicilia, terra del sole, dove gli stessi impianti produrrebbero forse dieci o venti volte di più rispetto al nord Europa, non si faccia molto per incentivare i pannelli solari e si parli di impianti nucleari. Facciano un bel regalo, Berlusconi e Lombardo, alla Sicilia: una politica di massicci incentivi per il fotovoltaico, invece della centrale nucleare!”
Oltre alle preoccupazioni legate ad una “scelta emotiva” come definita da Governo con riferimento ai disastri nucleari, restano i problemi del normale inquinamento derivante dal rilascio di piccole dosi di radioattività durante l’ordinario funzionamento dell’impianto, delle scorie, ovvero dello smaltimento dei residui.
Come si legge nel rapporto “Il nucleare non serve all’Italia” presentato da Greenpeace, WWF e Legambiente a Roma nel maggio 2008 “Non esistono poi ad oggi soluzioni concrete al problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dall’attività delle centrali o dal loro decommissioning. Le circa 250mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi prodotte fino ad oggi nel mondo sono tutte in attesa di essere conferite in siti di smaltimento definitivo. Lo stesso vale ovviamente anche per il nostro Paese che conta secondo l’inventario curato da Apat circa 25mila m3 di rifiuti, 250 tonnellate di combustibile irraggiato – pari al 99% della radioattività presente nel nostro Paese -, a cui vanno sommati i circa 1.500 m3 di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria e i circa 80-90mila m3 di rifiuti che deriverebbero dallo smantellamento delle quattro centrali e degli impianti del ciclo del combustibile. Una montagna di rifiuti che necessitano di un sicuro sito di smaltimento, che il governo Berlusconi e la Sogin alla fine del 2003 avevano pensato bene di collocare a Scanzano Ionico, in Basilicata, sbagliando nel merito (il sito non era stato studiato con rilievi sul campo, ma solo attraverso indagini bibliografiche) e nel metodo (non coinvolgendo enti locali e cittadini), e creando un pericolosissimo precedente per la necessaria realizzazione del sito di smaltimento delle scorie italiane”.
Con riferimento inoltre ai costi eccessivi di produzione sono illuminanti le conclusioni della ricerca “The economic future of nuclear power” condotta dall’Università di Chicago nell’agosto 2004 per conto del Dipartimento dell’energia statunitense sui costi del nucleare confrontati con quelli relativi alla produzione termoelettrica da gas naturale e carbone. Secondo il rapporto dell’Università Usa, considerando tutti i costi, dall’investimento iniziale e dalla progettazione fino ad arrivare alla spesa per lo smaltimento delle scorie (che incide fino al 12% del prezzo totale di produzione elettrica), il primo impianto nucleare che entrerà in funzione produrrà elettricità a 47-71 dollari per MWh, escludendo qualsiasi sovvenzione statale all’industria dell’atomo, contro i 35-45 dei cicli combinati a gas naturale. Conclusioni paragonabili a quelle raggiunte dal Massachusetts Institute of Technologynel rapporto “The future of nuclear power” pubblicato nel 2003.
A fronte di tali dati ci si chiede da più parti se non sia doveroso un nuovo referendum popolare al fine di comprendere quale sia la volontà dei cittadini e seguirla in attuazione del principio di rappresentanza popolare.
Angela Allegria
14 marzo 2009, n.44
In www.operaincerta.it
vedremo