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Aborto: firmata la carta di Roma
“Saluto e ringrazio quanti sono convenuti qui, in piazza San Pietro per testimoniare il loro impegno a difesa e promozione della vita e per ribadire che la civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. Ognuno, secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. È infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale”. Esordisce in tal modo Benedetto XVI in piazza San Pietro pronunciando l’Angelus di domenica 3 febbraio 2008. Il riferimento ad aborto ed eutanasia del Santo Padre giunge all’indomani della firma del documento dei ginecologi sulla rianimazione dei feti nati vivi in seguito ad un’interruzione della gravidanza, la c.d. Carta di Roma. Nel documento congiunto, firmato dai direttori delle cliniche di Ostetricia e Ginecologia di tutte e quattro le facoltà di Medicina delle università romane La Sapienza, Tor Vergata, la Cattolica e il Campus Biomedico, e presentato al termine di un convegno promosso dalle stesse cattedre all’ospedale Fatebenefratelli in occasione della Giornata della Vita, si sostiene che il medico neonatologo deve intervenire per rianimare il feto, “anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato”. In esso si legge: “Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente. L’attività rianimatoria esercitata alla nascita dà il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e delle possibilità di sopravvivenza, e permette di discutere il caso con il personale dell’Unità ed i genitori. Se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico.” “Il documento che abbiamo firmato – ha spiegato Domenico Arduini, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia dell’Università di Tor Vergata, uno dei firmatari del documento – va oltre la carta di Firenze e il testo redatto dalla commissione del ministero della Salute. Abbiamo infatti voluto cancellare il numero delle settimane di gravidanza, e porre al centro il problema della vitalità del neonato, in qualità sia di ente giuridico che di paziente. In questo modo il neonatologo, decidendo di intervenire subito guadagna minuti preziosissimi perchè non ha più il dovere di discutere con i genitori prima di decidere, come accadeva prima”. Il problema si pone in termini diversi sia che si tratta di interruzione volontaria di gravidanza, sia che si tratti di aborto terapeutico. Nel primo caso ci si potrebbe chiedere: quante possibilità ha un feto di 22-24 settimane al massimo di sopravvivere? Gli esperti parlano del 30 % di possibilità di sopravvivenza. In tal caso che senso avrebbe chiedere il consenso alla madre se è proprio la stessa a non volerlo? Per il secondo caso, ovvero l’aborto terapeutico, secondo Nicola Colacurci, docente di ginecologia presso l’Università di Napoli, ex segretario dell’Associazione Ginecologi italiani, “è un assurdo: non avrebbe alcun significato che i medici decidessero l’aborto per le gravi complicazioni di salute di madre e figlio, e poi fossero obbligati a rianimare il feto con un rischio altissimo di complicazioni e di fatto la certezza di farlo morire comunque”. Ci si chiede se si incorra o meno in accanimento terapeutico e soprattutto se la legge 194/1978 necessiti di una revisione come chiesto nei giorni scorsi da vescovi e cattolici oppure no. Diverse le reazioni: Il Ministro della Salute, Livia Turco, è intervenuta nella polemica sull’assistenza dei neonati prematuri estremi. “Laddove c’è un principio di vitalità e la possibilità di vita, deve essere fatto di tutto per rianimare il feto senza accanimento terapeutico e coinvolgendo passo dopo passo i genitori. Mi sembra però una crudeltà insensata, che certo non aiuta ad accogliere una vita umana farlo contro la volontà della madre” ha affermato. Il Ministro delle pari opportunità Barbara Pollastrini prende posizione contro un uso ideologico del progresso della scienza: “Credo che una persona seria dovrebbe sempre tener conto degli avanzamenti della medicina e questo si può fare se non vengono usati questi temi in modo ideologico e strumentale. Sono convinta che quando un neonato è vitale, debba godere di un diritto autonomo. La deontologia medica, quindi, deve indurre medici e ginecologi a intervenire in sua salvezza”. Si cominciano subito a vedere i primi effetti della Carta di Roma: da domani, ha dichiarato Giovanni Scambia, direttore del dipartimento per la tutela della salute della donna e della vita nascente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, un feto di 22 settimane che viene alla luce a seguito di un aborto terapeutico “sarà comunque rianimato, indipendentemente dal parere dei genitori”. Nei gioni scorsi alcuni volontari pro life dell’Associazione papa Giovanni XXIII hanno pregato all’ingresso del policlinico di Modena, nell’ora in cui si praticano gli aborti e davanti all’ospedale Infermi di Rimini.
Angela Allegria
7 febbraio 2008