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Caso Carlo Ruta. La sua, una scelta coraggiosa di andare avanti
Alla luce delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto in prima persona Carlo Ruta, in un contesto in cui i blogger sono “chiusi per ferie” per protesta ad una sentenza che fa temere per la libertà non solo della stampa, ma dell’espressione in senso lato, ripubblichiamo l’intervista resa dallo storico siciliano ad Angela Allegria per 7magazine, supplemento di Modica info, in data 2 aprile 2007.
Carlo Ruta, storico, scrittore, giornalista: la sua, una scelta coraggiosa di andare avanti, procedere nella ricerca della verità nonostante gli ostacoli innestati nel percorso per giungere ad essa, nonostante la ricerca giunga a risultati, che spesso vengono negati.
Un giornalista che ama il suo lavoro, capace di non girarsi mai dall’altro lato innanzi alle verità nascoste della terra in cui vive: la Sicilia.
Schieratosi, apertamente contro la mafia, dopo una condanna penale e l’oscuramento del suo sito, ritorna in campo per continuare la sua attività.
Ma parliamone direttamente con lui.
D: Dopo le vicende che l’hanno coinvolta in prima persona, si sente un perseguitato?
R: Non mi riuscirebbe proprio di affezionarmi a un tale “status”. Non mi pongo quindi il problema. Fare inchiesta sul terreno civile implica dei rischi in sé, a prescindere dalle situazioni. Ti tocca lavorare negli anfratti più profondi delle storie, in luoghi in cui non puoi dirti mai al sicuro. Particolari terreni, come quello siciliano, possono esporre poi a rischi aggiuntivi: da Palermo al sudest, dove il sottoporre a critica serrata poteri consolidati e luoghi della tradizione può innescare una varietà di reazioni. In effetti, negli ultimi tempi si sono create situazioni di particolare difficoltà, che hanno destato preoccupazione. Ma avevo pensato potessero verificarsi, non mi colgono alla sprovvista. Ovviamente, i miei progetti di lavoro restano immutati: ho fatto delle scelte che ritengo ponderate, e continuo a operare in tale prospettiva, cercando di ancorarmi il più possibile alla razionalità.
D: Cosa la spinge nonostante tutto a continuare la Sua attività, a parlare e non fermarsi innanzi a nulla?
R: Credo soprattutto nella dignità e, come dicevo prima, nella ragionevolezza. Mi piacciono la polis e la vita civile ispirate alla decenza. Mi attrae quindi l’impegno per le cause giuste, trovandolo un modo appunto ragionevole di percorrere il presente. Posso dire ancora che mi sono congeniali le vie poco esplorate e le prospettive in ombra. Sappiamo del resto che pure nel vuoto percettivo di tante offese “minime”, quotidiane, private, distanti dalle cronache e dai tracciati dell’ufficialità, si alimenta la coazione a tacere che risulta tanto bene insinuata nei costumi del nostro paese. Quali le motivazioni di fondo? Gli antichi greci dicevano dello stupore che può procurare la visione dell’essere, lo spettacolo delle cose. Ebbene un analogo stupore possono procurare i fatti: il passato storico e più ancora il presente che ci vive addosso. Ma dinanzi allo sfrontato esibirsi delle inciviltà lo stupore può declinarsi in scandalo, sgomento, indignazione. Questo è un po’ il comune denominatore delle culture dell’impegno, delle resistenze alle mafie, del pacifismo, e potrei dire che è un po’ il mio antefatto personale.
D: Oltre ad essere giornalista e scrittore Lei è anche uno storico. Ha parlato di casi irrisolti nella nostra provincia: quale lo ha colpito in maniera maggiore e perchè?
R: Dire cosa mi abbia colpito maggiormente non è facile, perché ogni caso ha rappresentato per me una prova a sé, un’avventura razionale, che tuttavia mi ha coinvolto pure a livello emozionale. Ogni storia mi si è presentata come una sfida, una incalzante sequela di rebus da risolvere. E quante volte mi sono accorto che fatti inoppugnabili sconfessavano le mie stesse percezioni, l’idea che in partenza mi ero fatto delle cose. Quando ho preso a occuparmi del caso Tumino-Spampinato pensavo di possedere buone conoscenze. In realtà mi mancavano dati fondamentali, che ho potuto trarre dallo studio delle carte giudiziarie, emerse dopo tre decenni dal palazzo di giustizia. Solo allora ho potuto cominciare a fare inchiesta, a inquadrare fatti e contesti interamente in ombra. D’altra parte, chi fa questo lavoro non dovrebbe sottrarsi al dovere di sospendere il giudizio quando mancano elementi decisivi e coerenti.
D: La presenza mafiosa nella provincia di Ragusa: in che misura si è diffusa e a che livelli?
R: Il sudest siciliano, come tanti luoghi “ameni” del nostro paese, ha vissuto e, seppure in modo più discreto, vive ancora l’esperienza delle cosche e dei racket. E una nitida rappresentazione viene al riguardo dalla sequela di eventi tragici che hanno colpito negli ultimi decenni città come Vittoria, Scicli, Pachino. Esiste d’altra parte pure una tradizione storica, fatta di casi fortemente connotati e tuttavia sfuggiti, lungo i decenni dell’Italia post-unitaria, al computo dell’ufficialità, come l’uccisione del notabile Mario Pancari Levi nella Vittoria del secondo Ottocento. Ma tanto più la Sicilia iblea ha conosciuto e conosce situazioni “normali” che per metodi e operatività non differiscono tanto da quelle scopertamente illegali, ancorandosi al ceppo comune della prepotenza. In quest’area si condensano trame finanziarie, vengono coartati diritti, si ricorre all’intimidazione e alla rappresaglia. Per quanto mi riguarda, ho cercato di definire allora i due livelli, occupandomi di primo acchito delle cosche, per giungere infine al nodo dei poteri forti.
D: Lei da giornalista ha avviato una diffusione di quei fatti che nessuno poteva, doveva conoscere. Continuerà la Sua attività e se sì in che maniera?
R: Come dicevo, faccio questo lavoro perché lo trovo congeniale. Cerco di accostarmi alle cose con pacatezza, cercando di interloquire il più possibile con quello che viene chiamato il “punto di vista morale”. Le difficoltà di terreno, che pure richiedono una sufficiente attenzione, lasciano quindi intatte le mie motivazioni. Come intendo continuare? Sono interessato in questo momento ad alcuni segmenti della finanza, a partire dal caso Coppola. Vorrei riflettere sulle recenti evoluzioni delle mafie in determinate aree del paese. Infine, sullo specifico siciliano, sto meditando di occuparmi di alcuni profili inediti di ricerca e analisi, che sono al momento in via di definizione.
Angela Allegria
23 settembre 2008