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Dal centro ai centri
Le festività natalizie appena trascorse parlano chiaro: i modicani cominciano a passeggiare non più solamente lungo il Corso Umberto o la via Sacro Cuore, ma anche tra i viali dei centri commerciali. Prendiamo ad esempio il pomeriggio-sera del 30 dicembre: alla Fortezza c’era una tale confusione da sembrare di stare in piazza Matteotti. Famiglie con bambini piccoli e grandi, ragazzini, signore ingioiellate, uomini di tutte le età, single, fidanzati si godono una passeggiata fra le vetrine, al chiuso, sotto il finto verde di un giardino d’inverno fatto di materiale sintetico.
Che si tratti di una nuova moda ad imitazione del nord, di un’opportunità per scongiurare il freddo e le intemperie o di una occasione per tenere tutta la famiglia sottocontrollo rinchiudendosi in una scatola di cristallo è difficile stabilirlo, di certo la nuova tendenza, tanto a Ragusa, quanto a Modica si sta diffondendo. Se lo scopo di un centro commerciale è quello di mettere insieme diverse tipologie di negozi, supermercati, bar e fastfood compresi, e ciò con lo scopo di inglobare ogni fascia sociale e di età, vero è che non si possono trascurare le conseguenze sull’economia locale, ma soprattutto sul consumatore finale. Con l’avvento dei centri commerciali, infatti, la figura del bottegaio sotto casa diviene sempre più rada, il piccolo negoziante di fiducia subisce un calo notevole, mentre sopravvivono solo i venditori di prodotti di qualità alta o di lusso.
Ma che ne è in questo contesto di negozi come i “Vicciuna”, dove entrando potevi trovare di tutto, dagli oggetti di uso quotidiano a quelli più estrosi e stravaganti, perfino, come si diceva “u latti a ucieddu?”, o di attività come quella condotta da anni da donna Miniccia Giardina che anche quando il negozio era stracolmo di gente dava la buona parola ad ognuno dei clienti alleggerendone con la sua grazia l’attesa? Per non parlare del bottegaio che conosceva i tuoi gusti e preveniva le tue parole o di quella fila di negozianti che un tempo popolavano il centro storico riempiendo ogni porta e tenendo d’occhio anche ciò che accadeva in città. I personaggi di cui parla Franco Antonio Belgiorno nei suoi libri sembrano ricordi lontani e diventeranno sempre di più reminescenze del passato a mano a mano che passa il tempo.
Vero che da un punto di vista organizzativo entrare in un centro commerciale vuol dire trovare ogni cosa in una unica struttura dotata anche di parcheggio, ma a che costo?
Oggi subiamo l’effetto di una spersonalizzazione che si concretizza negli acquisti standardizzati, seguiti da commesse demotivate, non appagate dal sorriso del padrone dell’attività che cercava in ogni modo di vendere, ma di lasciare il cliente soddisfatto in modo che potesse tornare. Mai si sarebbe sentito un “Si sbrighi a provare, stiamo per chiudere”, mai un “Non posso farci nulla se manca un bottone”. E questo è il risultato di una organizzazione all’interno della quale i lavoratori sono vessati e costretti a lavorare sette giorni su sette, festivi compresi, a cifre più che modiche. Il tutto influisce sulla qualità del servizio che viene svolto come un lavoro fatto senza alcuna gratificazione e senza nessuna gioia o partecipazione.
Che ne è del rapporto umano che si istaura ancora oggi nei piccoli negozi o del sorriso del proprietario, trasmesso anche alle commesse? Che ne sarà delle singole storie dei piccoli negozianti che hanno ricevuto il negozio dal padre e la passeranno al figlio? Siamo sicuri di voler perdere tanti piccole storie che insieme hanno contribuito a realizzare la storia dei nostri paesi?
Dall’altro lato c’è la questione delle passeggiate all’interno di luoghi chiusi, magari circondati da alberelli o da cespugli di erbe aromatiche, ma che all’interno rimangono sempre grandi colossi di strutture sigillate, il cui contatto magari è tra un negozio e l’altro, dove si possono trovare aree relax, aree break, foto delle bellezze artistiche, giardini di natura ricostruita, ma è come guardare i dolci attraverso il vetro di una pasticceria: si può osservare, ma non si sente il profumo, non si ascolta la fragranza, non si accarezza la consistenza, insomma non si vive appieno.
Siamo sicuri che rinchiuderci dentro un centro commerciale nei momenti liberi, invece di fare una gita fuori porta o una semplice passeggiata nelle nostre campagne o al mare o un giro in centro a guardare i monumenti non sia più salutare e gratificante?
Angela Allegria
Gennaio 2013
In Il clandestino