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Diaz: il coraggio della ricerca della verità
Ripercorrere i fatti avvenuti dentro la scuola Diaz di Genova, guardandoli più volte dai vari punti di vista, indagare le ragioni di una tale assurda violenza, rivivere una pagina della storia italiana non solamente per ricordare, ma anche per raccontarne i protagonisti (interpretati da Elio Germano, Jennifer Ulrich, Fabrizio Rongione, Renato Scarpa, Ralph Amoussou Claudio Santamaria), le loro storie, il loro essere gente comune, e soprattutto per dire come, a distanza di undici anni, sia andata a finire. Questo è ciò che Daniele Vicari ha dimostrato portando sul grande schermo una pagina dolorosa, angosciosa, una vergogna per l’Italia e per gli uomini di potere.
Una coproduzione italo-franco-rumena, un docufilm intriso di scene crude, violente, dove la cattiveria, l’esasperazione, la crudeltà, le provocazioni, sono rappresentate senza il filtro romanzato di una fiction. Da una bottiglia, da un “equivoco”, da uno sbaglio, da una pattuglia della polizia che, perdendo la retta via, si trova attaccata. Da lì inizia tutto, da lì chi comanda perde la testa e, facendo leva su misure di emergenza, straordinarie e in quanto tali capaci, se gestite male, di far succedere una carneficina.
Ciò che è accaduto ai 93 ragazzi ospitati alla Diaz e poi nella caserma di Bolzaneto pensavamo di conoscerlo, lo abbiamo appreso a più fasi: menzogne e mezze verità, falsità e tentativi di porre una giustificazione a ciò che non sarebbe mai dovuto accadere. Vicari fa un’analisi delle sentenze che sono intervenute sul fatto, delle testimonianze dei protagonisti, di ciò che è realmente accaduto, mostrando la violenza, il sangue, le manganellate, gli scempi, la mancanza di dignità, gli abusi di potere, le torture che si sono commesse nei giorni del G8 di Genova.
Quel luglio del 2001 che è diventato un incubo con il quale fare i conti ogni giorno, ogni ora, ogni istante. Vittime e carnefici vedono le loro vite incrociarsi per lunghi, lunghissimi attimi. Un film abbastanza equilibrato, con i buoni ed i cattivi da entrambe le parti, realista ma anche simbolico, come il tunnel all’interno del quale entra l’autobus scortato dalla polizia che accompagna gli stranieri alla frontiera: un tunnel di cui non si vede la fine, ma che scorre come un fiume sotterraneo, coperto, portando con sé i traumi perpetui dei ragazzi, le verità nascoste, le responsabilità non individuate, il tutto in una assurda violenza umana che rende l’uomo più crudele di una bestia. A chi spettava evitare i fatti che sono accaduti? Forse a coloro che hanno autorizzato l’incursione alla Diaz? A coloro che manovravano dall’alto, per non fare “brutta figura” con i presidenti delle altre nazioni “civilizzate”? Agli uomini che avrebbero dovuto rappresentare lo Stato, uno stato di diritti, spesso uno stato estremamente garantista, ma che, grazie alle misure sull’emergenza, può perdere la testa come una qualunque donnetta? Ai giudici che hanno condannato solo una piccola parte dei colpevoli? Al legislatore che non ha previsto come reato le torture, illudendosi forse di essere in un Paese rispettoso dei diritti umani?
Chi dovrà pagare i traumi di questi ragazzi? Chi ci può assicurare che uomini dello Stato non commettano ancora cose del genere visto che parte di loro sono ancora in servizio? Perché ancora oggi, a distanza di undici anni, si cerca in ogni modi di celare la verità sui fatti di Genova e Diaz, seppur è il film del momento, viene proiettato solo in alcune sale? Gli interrogativi sono tanti, ma necessari e voluti dal regista per spingere il pubblico a non dimenticare, a riflettere, a pretendere che sia detta la Verità.
A ben vedere è ciò che si vuole fare, basti guardare il sito del film (www.diazilfim.it), all’interno del quale, in alto c’è una sezione: “E tu, raccontaci la tua Genova”. Clikkandoci sopra il link rimanda ad un articolo del sito del Fatto Quotidiano: “La macelleria messicana diventa un film”. Hanno detto tutto.
Angela Allegria
24 aprile 2012
In Girodivite