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Elettra arma la mano di Oreste
L’Elektra di Richard Strauss al Teatro Massimo Bellini
Che si trattava di un’opera diversa, caratterizzata da una regia particolare lo si intuisce già all’ingresso della platea, luogo nel quale è posta la maschera funebre di Agamennone colorata in maniera moderna, decorata da graffiti policromi, ma trovarsi all’interno della rappresentazione, vivere il pathos dei personaggi, essere coinvolto nella furia, nell’odio, nel sangue che è stato sparso e che sarà ancora versato, rende un semplice spettatore il personaggio attivo della vicenda che si snoda innanzi a lui, al suo fianco, sopra, sotto, ovunque.
Inizia così Elektra, tragedia in unico atto di Hugo von Hofmannsthal, da Socrate, su musiche di Richard Strauss dirette dal Maestro Will Humburg, direttore artistico del Teatro, per la regia di Gabriele Rech.
Dal sipario scorre dell’acqua, poi le luci vengono spente, si cerca l’orchestra nello spazio nel quale di solito è posta e si trova una cavea chiusa, cosparsa di pietra lavica ora intera ora sbriciolata.
Non si intuisce ciò che accade neppure quando il sipario viene aperto ed appare l’orchestra sul palcoscenico, velata da un telo semitrasparente.
La sorpresa aumenta allorquando le ancelle si alzano dalle poltrone della platea ed iniziano a cantare, a descrivere Elettra mentre, sopra l’abito scuro, indossano le vesti di cameriere, i grembiuli, le crestine, i guanti gialli. Una di loro, colei che difende Elettra, colei che ne è affascinata, ha il grembiule sporco di sangue, ricordo di ciò che è accaduto, presagio di ciò che avverrà.
Una luce fredda illumina la protagonista, Elettra, interpretata magnificamente da Janice Baird, una donna sola, che appare sulla scena già con un aspetto tetro, oscuro. Con i capelli lunghi sciolti, vestita di nero, narra la morte del padre in un tragico, terribile monologo nel quale il nome di Agamennone viene sottolineato dall’accordo in mi minore ad opera di corni, trombe e percussioni.
Il sipario nel quale sono raffigurate antichità classiche, legame con le fonti antiche, con l’Oresteia di Eschilo, con l’Elettra di Sofocle e di Euripide, mentre queste sono sormontate dall’Etna innevata, riferimento chiaro all’Oresteia di Stesicoro. Ma la compostezza classica, il pathos, la legge della metriotes secondo la quale le colpe dei padri si riversano sui figli, il fato che non si può cambiare, il sangue che già dal supplizio di Tantalo sporca le mani degli Atridi che sono al tempo stesso carnefici e vittime, viene riconsiderata da Hugo von Hofmannsthal alla luce delle nuove teorie di Freud sull’isteria e la interpretazione dei sogni.
La vicenda è nota: Elettra istiga il fratello Oreste per vendicare la morte del padre avvenuta al suo ritorno da Troia per mano di Clitennestra e del suo amante Egisto.
Una vicenda tutta al femminile, nella quale gli uomini sono meri strumenti o dei piaceri come viene raffigurato Egisto (Roman Sadnik), perso nella bramosia dei sensi, o mezzi per concludere il proprio piano sanguinario come Oreste (Stefan Adam) il quale vendica l’omicidio del padre su istigazione di Elettra che nella visione di Strauss si sostituisce al fato nella sua opera distruttiva, nella sua sete di sangue, unico scopo della sua esistenza, fine al quale si può sacrificare tutto.
Personaggio antitetico ad Elettra è Crisotemide (Elena Nebera), bionda, coi capelli raccolti, vestita di bianco, desiderosa di luce, una donna che piange il padre morto e che soffre alla notizia del decesso del fratello, ma che implora la sorella di rinunciare alla sua vendetta per tornare a vivere, desiderosa di una vita da sposa, da madre.
Due modi diversi di vivere il dolore: nel buio e nella rabbia Elettra, alla luce, nella speranza di un domani da donna Crisotemide.
La voce della Baird nell’annuncio della vendetta mette i brividi, entra nella vene creando un misto di tensione che si può percepire fisicamente.
Fondamentale per capire l’astuzia di Elettra è il colloquio con Clitennestra (Renèe Morloc), vestita di giallo per indicare il grado regale e di rosso per sottolineare il sangue versato, mentre per rimarcare la discendenza da Leda, indossa delle piume.
Ad una Clitennestra ossessionata dai sogni, inquieta, agitata, quasi nevrotica, si contrappone un’Elettra fiera, astuta, che conquista la sua fiducia con l’inganno, pronta a trovare la vittima sacrificale per porre fine al suo tormento: la persona da sacrificare sarà Clitennestra stessa, uccisa da Oreste all’interno del palazzo, accomunata nella sorte all’amante assassinato subito dopo sulla scena.
Un finale sontuoso, tragico, nel quale i tre fratelli vedono la fine di un incubo, nel quale una danza liberatoria non lascia il posto ai rimorsi. Il dramma è sottolineato da una orchestra molto ampia nella quale è possibile sentire due arpe, i corni inglesi, i corni di bassetto, la celesta, mentre nel finale il coro, diretto da Tiziana Carlini, appare fra il pubblico sistemato sui palchi, creando una musicalità, un finale forte, robusto, colossale per un’opera antica ma sempre attuale, apprezzata dal pubblico che, anche nelle repliche, ha applaudito per oltre dieci minuti.
Angela Allegria
3 marzo 2010
In www.italianotizie.it
Foto di Giacomo Orlando