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A scola guida (Prima parte)
Primo episodio
La signora Vita Santamaria in Fiorellino decise di prendersi la patente. Non decise lei, ma il marito signor Pasqualino in persona da quando u cumpari, Matteo Porretto gli disse: “ Cumpà, sei priggiuricatu, ma la macchina la puoi guidare lo stesso.”
“ E che non lo so. Avevo venti anni e facevo il meccanico, poi ci fu da storia cu zu Piddu e da allora mi scantu a portare la macchina, picchì se mi fermano i carabinieri, non esco più dall’Ucciardone.”
Matteo Porretto, scopino perfetto, aveva anche un vecchio conto con la giustizia. Niente di importante, solo un paio di rapine a mano armata e qualche furto con scasso, ma niente violenza sessuale e omicidi nè colposi nè prerintezionali. “ Aviva a campari”, si giustificava. Ai tempi dello scopino perfetto, arrivò una manna dal cielo per 300 famiglie palermitane e Matteo “ trasì” alla A.M.N.U. (azienda municipalizzata nettezza urbana). All’assessore Angelo Puleio venne l’idea di sistemare una serie di ex detenuti con un lavoro definitivo. Gli ex detenuti, che avevano già scontato la pena e non riuscivano a trovare lavoro, per ovvi motivi, si potevano sistemare alla ex Vaselli.(Azienda privata che gestiva la raccolta di rifiuti negl’anni ’60, senza gite a Dubai)
La Giunta fu d’accordo, il consiglio approvò e 300 patri di famiglia si misero a pulire Palermo. Unico requisito per i fortunati: avere le carte macchiate, escluso la condanna per omicidio.
Per l’ex carcerato, signor Fiorellino non ci fu niente da fare, anzi la presentazione della domanda aggravò la situazione e così Pasqualino si vide recapitare a casa la raccomandata della Prefettura con l’ordine perentorio di restituire per sempre e entro 30 giorni la patente di guida.
“ Un sistema per guidare c’è- disse don Matteo (il don gli era stato appioppato dai vicini di casa dopo la sua prima uscita dalla galera, come spetta a buon diritto alle persone ‘ntise)- tu ti pigli il foglio rosa , che vale sei mesi, e tua moglie si piglia la patente e così tu guidi con il foglio rosa e con tua moglie accanto “patentata” e i carabinieri non ti possono dire niente.”
E così la signora Vita, che era salita in una macchina solo una volta, da piccola, e per giunta seduta dietro, per amore del suo Pasqualino, s’impupò tutta, si versò addosso nezza bottiglia Felce Azzurra e niscì per andare a ‘nparare a portare a machina. L’autoscuola era stata inaugurata da pochi mesi, il proprietario era un uomo sulla quarantina, biondo e con gli occhi azzurri. Del tipo scandinavo, gli mancava l’altezza, ma per il resto era la testimonianza evidente del passaggio in Sicilia dei Normanni. Accolse la signora con tutto il garbo e gentilezza anche fin troppo affettata. Fece accomodare la signora, ma Pasqualino prima di dare i connotati (così vengono solitamente chiamati i dati personali a Palermo nei rioni popolari) della sua signora alla segretaria, Pasqualino doveva parlare “a sulu” con il signor La Mantia. Confessò al titolare il suo pobrema e chiese il costo di tutta l’operazione, compreso dei due fogli rosa annuali. Altro problema che pose Pasqualino era di chi persona era quello doveva ’nparare la moglie a portare a machina.
La Mantia era già preparato a questa domanda. “ Per il momento ci penso io, ma fra poco, assumerò un’istruttrice donna, per le signore per bene come sua moglie.”
Fiorellino si sentì un poco preso per il culo, non raccolse e ci passò di supra all’involontaria gaffe del La Mantia. Attenzione, nulla da dire sulla signora Vita che era di spiccate virtù morali e Pasqualino era stato l’unico uomo della sua vita; na taliata, un gesto d’intesa e fu subito fuitina in casa di Castrenze, ancora scietto che di mestiere faceva il rappresentante. Santamaria diventa la sposa anche all’altare: pancione e benedizione di don Francesco e dopo tre mesi arriva l’erede, Renato.
Veramente un nonno non c’era, perché Pasqualino era stato lasciato, appena nato, davanti all’Ospedale dei bambini il giorno di Pasquetta e accolto, dopo le prime cure in ospedale, dalle suore del Convento della Madonna del Bambin Gesù e lì accudito. La madre badessa era una santa donna, chiamò il pargoletto Pasqualino e di cognome Fiorellino, tantu era beddu u picciriddu ca pariva un fiorellino appena sbocciato. Ritornando a Renato, non avendo il piccolo un nonno e nessuno si sarebbe offeso, gli venne dato il nome di Renato. Come Renato Carosone. Pasqualino era un vero appassionato del cantante napoletano. Sapeva a memoria tutte le parole delle canzoni e in particolare Pasqualino maragià, che sembrava scritta per lui. Per chissà quale altro incrocio di razze, fatto frequente nell’Isola, Pasqualino aveva le sembianze di un vero arabo: alto, magro, capelli ricci e un paio di baffetti che gli conferivano un’aria da vero principe della vicina Tunisia.
Vita Santamaria mancu pipitò, tantu era beddu Renato suo. A lei piaceva la canzone Romantica di Renato Rascel e megliu d’accussì…
Dopo Renato, vennero Sergio, Aurelio e al quarto tentativo arrivò a fimmina, Sofia. Con l’acca o senza acca, disse l’addetto all’anagrafe, facissi vossìa, rispose il signor Fiorellino e Sofia arristò senza la acca. All’impiegato del municipio sti nomi di fori ci stavanu supra a panza .
Arrivata a fimminedda la signora Vita dissi basta…
A Pasqualino non andava, però, di fare “marcia indietro” e arrivò u nicu, Mario. Poi arrivati quota cinque, u zu Pinuzzu, nescifora gli insegnò il sistema per non avere più figli. Il signor Fiorellino si convinse, anche perché quel che diceva u zu Pinuzzu , era legge.
Ma torniamo alla patente e alla signora Vita alle prese con la tegoria. Gli avevano consegnato un bel librettino con la copertina con un disegno stilizzato di una bella macchina antica e sotto, bello grande la scritta: “Autoscuola La Mantia, la patente è già mia.”
“ Mi devo insegnare tutto sto libro per vincere la tegoria?”
“ No, signora un si preoccupi.”- disse la bellissima segretaria Giusy- al momento opportuno ci penserà il signor La Mantia a darle una mano per superare l’esame con l’ingegnere.”
“ E u muturi, io non so mancu come è fatta la chiave per la messa in moto.”
“ Stia tranquilla signora Santamaria è tutto a posto.”
“ Da sposata mi chiamo Fiorellino. Perché lei mi chiama Santamaria.”
“ Nella patente esce il cognome da signorina- disse Giusy- e lei, quando la fermeranno i carabinieri dovrà dire di chiamarsi Vita Santamaria e non Vita Fiorellino.”
“ Mama, Diu ni scansi e liberi ri carabinieri.”
SECONDA PARTE
Certo, la povera signora Vita, povera davvero, perché ancora ragazza e appena uscita dal collegio, era andata ad abitare a casa dei signori Cucuzza che l’avevano presa a ben volere e avevano tutta l’intenzione di adottarla. La pratica andava per le lunghe e il signor Cucuzza ci rinunziò. La signora Vita restò Santamaria e non diventò mai Cucuzza. Non si capì mai, se era meglio Vita Santamaria o Vita Cucuzza. Però, strano scherzo dei cognomi, qualcosa dei Cucuzza in Vita rimase: per capire le cose aviva proprio, na testa di cucuzza.
Stesso destino univa Vita e Pasqualino: trovatelli entrambi con genitori ignoti. Per il maragià il vero padre, diciamo così – come era solito dire Pasqualino-era stato monsignor Lo Bue e per Vita la vera madre suor Teresa che di cognome faceva Pecorella.
Arrivò la prima lezione di teoria e la signora Vita che accuratamente vestita, ri matrimonio,
si presentò come una scolaretta alla prima lezione e, datosi che gli allievi erano quasi tutte donne,
Pasqualino si rasserenò, vedendo la moglie seduta accanto a una ragazza e gli unici due masculi erano seduti in fondo all’aula e aveva l’aria di due piscialetto. Uscì fuori dall’aula e si sedette nella stanza della segreteria a godersi lo spettacolo della segretaria Giusy. Niente cosce in vista però, in compenso Giusy indossava un paio di pantaloni ben attillati e le forme del posteriore erano così perfette che Pasqualino per un attimo fece un involontario confronto con la sua signora. Che c’entra adesso Vita – pensò- chista è bona, ma a Vita gli voglio bene e curnutu cu ma tocca.
Il rilassamento durò poco, perché arrivò un picciotto, biondo di capelli, un metro e ottanta d’altezza, occhi azzurri che, avvicinandosi a Giusy, salutò e baciò la ragazza in modo confidenziale e, scusandosi del ritardo, entrò nell’aula della teoria.
“ Scusassi, signorina Giusy, ma diciamo così, quel giovanotto che assomiglia all’attore Franco Lo Nero, cu è?”
“ Ha ragione, signor Fiorellino, non glielo presentato. E l’ingegnere Giorgio De Rossi, l’insegnante di teoria.”
“ E’ quello che ci avrebbe fare le domande alla mia signora e poi poterici dare la patenti.”
“ No, il signor Giorgio è l’insegnante. L’ingegnere, che dovrà interrogare sua moglie, lavora alla motorizzazione e fra un mese, appena la signora Santamaria sarà preparata, andremo a fare gli esami, forse anche qui da noi oppure alla Unasca.(Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica.) E sarà interrogata dall’ingegnere.”
“ E a machina alla mia consorta signora chi gliela impara. Ca ri poi, si chiama Fiorellino.”
“ L’istruttore arriverà fra poco- spiegò Giusy. Vedrà è una brava persona e poi è bravissimo e in una decina di lezione sua moglie guiderà benissimo.”
A Pasqualino, di come avrebbe guidato sua moglie non gli importava proprio nulla. Era necessario che sua moglie avesse nella borsa il documento, a guidare ci avrebbe pensato lui. Ma si guardò bene di dirlo alla segretaria. Era na fimmina ed era già abbastanza che era stato costretto a dare
quella confidenza al signor La Mantia. So cumpari Porretto lo aveva assicurato: il signor La Mantia è ri nostri.
“ Buon pomeriggio, signorina Giusy. Mi fa vedere l’orario delle lezioni. La prima, se non vado errato, dovrebbe essere alla 16 con il signor Gambino e poi alle 16,30 la signora Vattiato.”
Mentre Giorgio aveva salutato con confidenza la segretaria, e De Rossi parlava con accento polentone, o almeno così era apparso al signor Fiorellino, il nuovo arrivato, che aviva ad essiri l’istruttorio, oltre che una maglietta con la foto di uno con basco in testa e a stissa barba incolta che aveva l’istruttorio che sembrava San Giuseppe, indossava un paio di jeans così sbiaditi da sembrare bianchi. E poi Fiorellino gli pareva ca parlava come un viddanu, anche se aveva parlato in italiano.
Insomma, al marito di Vita Santamaria non fece una bella impressione. Da uomo di quelli dei nostri non disse nulla alla fimmina, ma si ripropose di parlarne subito al titolare dell’autoscuola e a suo cumpari.
“ Signor Piero, le presento il signor Fiorellino, marito della signora Santamaria a cui presto dovrà fare lezione di guida- disse Giusy, presentando l’istruttore a Pasqualino che dimostrò una certa ritrosia a dargli la mano. Insomma a Fiorellino stu signor Piero un ci calò proprio. Ma ormai la decisione era stata presa, l’acconto era stato dato, la confidenza a La Mantia gliela aveva fatta e non era più il caso di fare sapere a tutte la autoscuole di Palermo perché la sua consorta signora si stava pigliando la patente.
E poi, aveva visto la mattina la moglie contenta e allegra e ‘npupata come quando andava ai matrimoni e poi guardava le figure dei segnali nel librettino, come una scolaretta.
Il fatto era compiuto, ma si stu mezzucomunista sbagliava con sua moglie, l’onore e la dignitate della famiglia Fiorellino doveva essere salvata. Certo, la tradizione in casa Fiorellino non era molta, ma Vita, Renato, Sergio, Aurelio, Sofia (senza acca) e Mario e u stissu Pasqualino facevano sette persone e tanto bastava per l’arburu genialogico o, come caccio si chiamava.
“ Mama, ma è mai possibile che da quando u papà ti scrissi a sta scuolaguida , ni sta casa un si mancia chiù.”
Le proteste arrivavano da Renato, che di mestiere faceva il muratore ed era diventato un picciuttunazzu che aveva sempre fame. Le proteste del capopopolo Renato trovavano piena solidarietà nei fratelli. Sofia (senza la acca) faceva la crumira ed era solidale con la madre. I surbizza, potevano aspettare, a Vita Santamaria serviva chi gli facesse ripassare la tegoria e Sofia (senza la acca) era ben disposta. Ma sti segnali erano difficili da mettere in mente. E poi la confusione: la freccia bianca dipinta dentro un quadrato blu o la freccia dentro un cerchio blu, un eranu a stissa cosa? Sofia (senza acca) l’aveva capito: il segnale quadrato voleva dire che la strada che si iniziava a percorrere era a senso unico, mentre quello rotondo, voleva dire che all’incrocio era obbligatorio andare dritto. La signora Vita non capiva perché c’erano due segnali con la tromba. Giorgio De Rossi, l’ingegnero di la tegoria, diceva spesso: una era una cornetta e indicava che da quel momento non si doveva più usare il clacson; mentre nell’altro segnale c’era disegnato un corno e obbligava che bisognava suonare in curva sulle strade di montagna in presenza di corriere.
A patente veniva rivocata quannu,- chi l’aviva subitu ‘mparato-, uno diventava pazzo, mutilato o delinquento come suo marito.
A Vita veniva difficile ricordare la parola revocata, ma ca ci livaru pi sempri a patente a so maritu u sapiva pi via di pratica. Era bello andare a scuolaguida anche si un capiva quasi niente di quello che diceva l’ingegnero Giorgio, in ogni caso, si scansava i surbizza e Pasqualino non protestava e poi aveva fatto amicizia, diciamo così,- anche lei come il marito usava spesso la stessa espressione- con la signora Rosalia, sposata Pizzuto. Il signor Pizzuto, aspettava la moglie sempre fuori dell’autoscuola e cominciava con la moglie un concitato conciliabolo e dopo poco la signora Rosalia, sposata Pizzuto, cominciava a piangere. A cosa è trubola- pensava a signora Vita, quarche vota ci l’addumannu. Pi mia- diciamo così- su cosa di corna o di buttani- era il pensiero fisso della signora Vita, sposata Fiorellino. Stu istruttorio a Pasqualino proprio un ci calava. E si rivolse a so cumpari Porretto per aver informazioni ‘ncapu a stu signor Piero, u varbutu mezzuciccivara.
“ Senti Pasquà, io prima di mandarti all’autoscuola La Mantia, la patente è già mia, ho chiesto chi provenienza aveva Totò La Mantia e tutto il suo pirsonali. Mi rissi u zu Pinuzzu, ca un c’è pobrema e su tutti ri nostri. U ciccivara, signor Piero, è studenti alla viale delle scenza in pisicollogia e avi un giro di studentesse ca u spurpanu vivo. Di to mugliera consorte po’ strari tranquillo. Pi ciccivara, garantisce La Mantia e suo cugino che si chiama preciso come lui, figli di fratelli sono.”
“Sarà- pensò Fiorellino- ma appena comincia a machina ci devo essere io seduto dietro.”
E arrivò il giorno dell’esame di teoria. Arrivò, in autoscuola- con gran meraviglia di Fiorellino l’ingegnere della motorizzazione che invece di essere masculu era fimmina. E poi era troppu bedda e profumata e somigliava a Gina Allollobricita. E parlava in italiano.
“ Senta a signora ingegnera- Pasqualino le si avvicinò senza tanta soggezione e infischiandosene del signor La Mantia che era tutto cerimonioso, come sempre, stava facendo gli onori di casa- la mia signora consorta è un poco inalfabeta. E’ a prima volta chi fa a tegoria. Avissi abbumannari così facili e in diletto ca non è tanta brava, come apputessi essere io ca mi la spidoglio anche con l’inglisi.
Due dumandi e via chi io ci accatavu a patenti.”
La Mantia divenne di mille colori, avrebbe in quel momento voluto sprofondare sotto terra. Il Fiorellino, gli era stato raccomandato da don Pinuzzu e a qualsiasi costo la signora Vita Santamaria doveva essere patentata, ma il troppo era troppo.
“La prego signor La Mantia, allontani subito questo signore e io farò finta di non aver sentito niente- disse l’ingegnara Allollobricita. E non voglio- aggiunse- sapere chi è la signora in questione. Capisce bene quello che potrebbe succedere se io dessi ascolto a quanto affermato dal signore qui presente.”
Passata la bufera, l’esame andò bene per tutti, compreso la signora Vita che, fra la sorpresa di Giorgio De Rossi, l’ingegnero , superò brillantemente gli orali.
Pietro Ciccarelli