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Intervista a Pia Covre, segretaria del Comitato per i diritti civili delle prostitute
Il fenomeno della prostituzione continua il suo percorso nonostante il vuoto legislativo lamentato da sindaci, cittadini, semplici utenti.
Nella polemica che si instaura fra coloro che intendono tollerare il fenomeno e coloro che si battono contro di esso non si deve perdere di vista il problema vero: la tutela dei diritti delle donne che esercitano, per propria volontà o per costrizione, tale attività.
Al fine di orientare scelte di politiche sociali finalizzate al miglioramento della condizione di chi si prostituisce, per suscitare un dibattito per la sensibilizzazione della società in generale volta al rispetto della dignità e dei diritti delle/dei sex workers nasce nel 1982 Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute. Si tratta di un’associazione no profit fondata da prostitute e non.
Si legge nello statuto: “Il Comitato si propone di: promuovere iniziative di qualsiasi natura al fine di ottenere il riconoscimento e la tutela dei diritti civili costituzionalmente garantiti ad ogni cittadino, anche alle cittadine e ai cittadini che si prostituiscono, siano essi italiani o stranieri. Ove necessario chiedendo la modifica di quelle leggi che sono di ostacolo alla piena inclusione sociale; sensibilizzare la società sul fenomeno della immigrazione e del traffico di esseri umani; promuovere la tutela della salute, dell’informazione e prevenzione dell’HIV e delle infezioni sessualmente trasmissibili, anche attraverso la produzione e diffusione di materiali specifici; sensibilizzare la società sul fenomeno della immigrazione e del traffico di esseri umani; combattere i fenomeni di esclusione ed emarginazione sociale delle persone immigrate e in particolar modo dei soggetti più deboli e vulnerabili quali donne, minori, rifugiati politici; opporsi e contrastare i sistemi di coercizione e sfruttamento delle persone adulte e dei minori soggette ad abuso sessuale, in particolare delle persone straniere trafficate; creare una rete di cooperazione internazionale con paesi membri della UE ed non, che si occupi di rimpatri volontari, di reinserimento sociale e di assistenza nella costituzione di piani d’impresa nei paesi d’origine di persone immigrate, anche prostitute ed ex-prostitute”.
Parliamone con Pia Covre, segretaria del CDCP Onlus.
Come è la situazione delle prostitute in Italia?
Nel nostro Paese il fenomeno della prostituzione è molto variegato.
Difficile avere dati statistici sulla quantità delle persone prostitute con precisione. Le associazioni che lavorano nel settore stimano che ci siano sulle 50.000 persone al massimo.
Dal punto di vista qualitativo, secondo una ricerca fatta dal progetto TAMPEP, la maggioranza sono donne, ma vi è più di un 3% di uomini e un 20% di transgender. Circa il 60% lavora in strada e la rimanenza è suddivisa in varie forme di lavoro: appartamenti, locali notturni, sale di massaggio, escort etc.
Questo rende il fenomeno vario e complesso, difficile da osservare ed eventualmente da governare.
Con riferimento alle straniere: in che condizioni arrivano in Italia?
Le straniere non comunitarie costituiscono oggi la maggioranza nel mercato (circa il 75%) anche se ora bisognerebbe rivedere questo dato alla luce del fatto che la Romania e la Bulgaria sono Paesi Europei. Infatti in questo anno si è avuto un aumento di donne rumene e bulgare.
Questa nuova situazione delle frontiere ha in parte modificato il modo di viaggiare e entrare nel Paese di queste due nazionalità.
Precedentemente queste donne erano soggette alle reti della migrazione clandestina, totalmente dipendenti dai trafficanti.
Ora si incontrano moltissime donne rumene in particolare che viaggiano sole, arrivano in Italia già con l’intenzione che se non trovano altro potranno lavorare nella prostituzione.
A volte sono giovanissime e anche piuttosto determinate, tuttavia la loro vulnerabilità sociale, la mancanza di punti di contatto con le reti del volontariato o delle comunità straniere, fa si che si affidino ai gruppi della criminalità. Questa riesce ad adescare facilmente tali donne e ad immetterle nel giro della prostituzione sfruttata.
Quando le persone che esercitano la prostituzione cadono nelle mani di questi racket è per loro molto difficile sottrarsi.
Con quali mezzi la vostra onlus lotta per i diritti delle prostitute?
La nostra associazione dal 1982 ha cercato di esercitare una sorta di pressione per arrivare ad una decriminalizazione della prostituzione e al riconoscimento di Diritti sociali concreti per le prostitute.
Facciamo da moltissimi anni un lavoro di informazione e di prevenzione sanitaria per le prostitute, attraverso un lavoro di strada e di contato diretto con le interessate.
Per quanto riguarda le donne che subiscono abusi, sfruttamento, violenza lavoriamo con loro per cercare di aiutarle a trovare assistenza legale, offriamo aiuto psicologico, e, in casi speciali, anche periodi di accoglienza in strutture protette. Per alcuni casi di donne che desiderano lasciare la prostituzione offriamo il nostro aiuto per intraprendere il percorso di orientamento e inserimento lavorativo.
Necessità-piacere: in che misura opera tale connubio?
I piaceri della vita sono davvero vari. Per alcune sex workers è un piacere non dover andare a lavorare in fabbrica e avere tanto tempo libero da dedicare a se stessi. A ciò consegue che il bisogno del denaro per vivere può essere trovato nella prostituzione e se c’è autonomia e libertà può essere una vita gradevole.Per alcune che stanno in condizione di grande povertà o di esclusione sociale ovviamente non si può parlare di piacere, è solo una questione di bisogno.
Che opinione avete degli accadimenti di Milano (217 clienti multati) e della legislazione vigente in tema di prostituzione?
La legge andrebbe migliorata, dovrebbe essere sancito il diritto alla libera scelta di prostituirsi e di poterlo fare anche in casa, di autorganizzarsi fra sex workers per difendersi dalle aggressioni e aiutarsi a vicenda, in modo di non doversi rivolgere ai racket illegali ma di trovare un sostegno legale. Tutto questo per uscire dalla marginalizazione.
La repressione non serve a molto. Multare i clienti è un’ipocrisia che fanno con vari pretesti. Ma se ci sono violazioni vere come gli atti osceni in luogo pubblico o l’abuso su minorenni sono dell’idea che vadano applicate le leggi, quindi non dovrebbero limitarsi alle multe ma fare delle denunce.
Il fatto è che fare qualche multa a clienti e prostitute è più semplice che fare una indagine per arrestare gli sfruttatori veri. Con questo sistema i Sindaci credono di fare bella impressione sulla cittadinanza ma non ammettono che questo non cambia di una virgola la situazione, la sposta solo un po’ più in là, ovvero la sospende per breve tempo.
Case chiuse: favorevoli o contrari?
Le case chiuse non sono mai piaciute alle prostitute, quando furono chiuse dalla Senatrice socialista Lina Merlin, erano mezze vuote perché le lucciole se ne erano andate, già il fenomeno si modificava, le donne si emancipavano e lasciavano quei luoghi non più rispondenti al sopraggiunto desiderio di libertà.
Angela Allegria
25 ottobre 2007
In www.7magazine.it