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Inventare destini col gioco: intervista al Dr. Fabio Paglieri del CNR
La diffusione dei giochi di ruolo online, crescente da qualche anno a questa parte, coinvolge giovani e meno giovani i quali attraverso queste nuove forme di divertimento, raggiungendo vere e proprie città virtuali in cui far ruolare i propri personaggi.
Si tratta di personaggi creati dal giocatore stesso il quale può addirittura scegliere di aggiungere alla propria descrizione fisica e psicologica anche foto e brevi filmati al fine di rendere più verosimile il fittizio.
È possibile in tal modo incontrare la regina di un castello incantato, frequentare una nota accademia di arte e spettacolo, passeggiare nel parco di una città concepita dalla mente umana.
Ma da dove nascono i giochi di ruolo?
Il primo gioco di ruolo, “Dungeons & Dragons”, è stato pubblicato nel 1974 negli USA dalla Tactical Studies Rules. Esso, inventato da Gary Gygax e Dave Arneson, appassionati di giochi di simulazione, si rivolgeva a giocatori come loro e aveva come unico fine il divertimento.
Ma dal semplice e puro divertimento si possono cogliere alcuni aspetti fondamentali.
Con l’aiuto del Dott. Fabio Paglieri dell’ Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, del CNR di Roma.
Nel suo articolo apparso nel volume “Inventare destini: il gioco di ruolo nelle scuole italiane”, curato da Andrea Angiolino, Luca Giuliano e Beniamino Sidoti per i tipi della Meridiana usa l’espressione “sistema complesso” con riferimento ai giochi di ruolo. Cosa intende con tale espressione?
In quel pezzo uso l’espressione “sistema complesso” in chiave provocatoria, sostanzialmente per suggerire che il gioco di ruolo sia un po’ più complesso di quanto siamo abituati a credere, soprattutto nelle sue applicazioni educative. In particolare, penso alla possibilità di ricoprire ruoli diversi, caratterizzati talvolta da asimmetrie di potere e autorità: è il caso ad esempio del rapporto fra conduttore del gioco, o Dungeon Master nel gergo di D&D, e interpreti, o Personaggi Giocanti. Inoltre, è importante sottolineare che, benché lo scenario tipico di un gioco di ruolo preveda un solo conduttore per svariati interpreti, questo schema non è rigido: più conduttori possono cooperare nel gestire uno stesso gruppo di interpreti, o addirittura gli interpreti possono escogitare modalità di gioco che consentano di fare a meno di un conduttore, un po’ come accade nel gioco simbolico dei bambini. Nel mio articolo, invito a tenere presenti questi elementi di complessità nel progettare eventuali applicazioni educative dei giochi di ruolo.
Questo può valere anche per i giochi di ruolo online?
Certamente sì, anche se le modalità di interazione a distanza possono cambiare radicalmente il tipo di interazioni sociali che si realizzano nel gioco. Sarebbe comunque fuorviante chiedersi se i giochi di ruolo online siano più o meno complessi di quelli in presenza. Si tratta piuttosto di complessità differenti: interagire a distanza elimina alcuni dei vincoli tipici del gioco di ruolo in presenza (per esempio, si possono fare altre cose mentre si gioca senza rompere il “patto finzionale” con gli altri giocatori), ma ne introduce degli altri (per esempio, una gestione dei tempi molto più sincopata e simile al ‘tempo reale’ dei videogiochi). Inoltre, molto dipende anche dal supporto tecnologico con cui si gioca online: un conto è interagire tramite un’interfaccia testuale, ben diverso invece essere in videoconferenza con gli altri giocatori, o trovarsi immersi in un ambiente tridimensionale. Considerazioni analoghe valgono anche per tutti i dettagli dell’interfaccia di gioco: rappresentazione degli ambienti, degli altri giocatori, dei personaggi non giocanti, e così via.
Da che esigenze nasce un gioco di ruolo sia esso reale che online?
L’esigenza di fondo è senz’altro quella di divertirsi, ma tenga presente che persone diverse (o le stesse persone in momenti diversi) troveranno divertenti e piacevoli cose alquanto differenti. Ad esempio, il divertimento può realizzarsi sia come pulsione agonistica, nel qual caso si gioca o per vincere o per “fare del proprio meglio”, sia come piacere interpretativo, nel qual caso ci si interessa soprattutto alla costruzione del proprio personaggio e a farlo interagire col contesto in modo credibile e gratificante – né l’una cosa esclude necessariamente l’altra. Voglio poi aggiungere una nota a margine, volutamente polemica: nel valutare gli effetti delle interazioni online, incluse quelle mediate dai giochi di ruolo, si alternano sistematicamente apocalittici e integrati, per dirla con Eco. Alcuni deplorano l’online come veicolo di tecnologiche nequizie e fattore di isolamento sociale, vedendo l’utente remoto come un individuo solo, che preferisce l’illusione della rete a più intimi e profondi rapporti. Altri, al contrario, plaudono alle infinite possibilità di relazione aperte dalla connessione globale, e sottolineano che mai come oggi, e proprio grazie all’online, è stato possibile creare e mantenere rapporti con persone e realtà a cui prima non avremmo neppure avuto accesso. Personalmente, non amo nessuna di queste tesi estremistiche, perché tutte confondono diversi tipi di relazioni sociali, trattandole invece come se fossero un’unica cosa. Mi pare ovvio che relazionarsi online sia profondamente diverso rispetto a relazionarsi in presenza – e lo stesso vale, come caso particolare, per il gioco di ruolo. Quindi sarebbe interessante capire le peculiarità di queste diverse forme di socialità, piuttosto che cercare di stabilire a priori, e con scarsa cognizione di causa, quale delle due sia da preferirsi in assoluto.
A quali conseguenze pedagogiche e terapeutiche si può giungere tramite un gioco di ruolo?
Le conseguenze possono essere le più svariate, tutto dipende da come si gioca. Tenga presente poi che molti giochi (di ruolo e non) possono avere conseguenze rilevanti anche senza che ciò fosse minimamente previsto o voluto dai giocatori. I bambini imparano un sacco di cose giocando, ma non è per imparare che si mettono a giocare. Se invece ci concentriamo sugli usi deliberatamente pedagogici o terapeutici del gioco di ruolo, cioè su interventi esplicitamente orientati verso un qualche obiettivo formativo o educativo in senso lato, diventa ancora una volta rilevante il discorso della complessità del gioco di ruolo. Senza andare nello specifico mi limiterò a citare alcune indicazioni fondamentali, idealmente rivolte a un ipotetico educatore desideroso di usare il gioco di ruolo nella propria professione. Innanzitutto, bisogna usare i ruoli del gioco, anziché esserne usati: detto in parole povere, non si dovrebbe dare per scontato che il ruolo di guida e supervisione del gioco (il ruolo di conduttore) debba necessariamente spettare all’educatore – al contrario, in alcuni casi sarà più utile delegare questo ruolo a uno o più degli educandi, mentre l’educatore vestirà i panni di chi si fa guidare e partecipa al gioco su un piano di parità con gli altri. In secondo luogo, va tenuto presente che il gioco di ruolo si presta bene (molto meglio della lezione in classe) a esperienze educative di gruppo, in cui l’educatore potrà essere affiancato da colleghi o da altre figure professionali. Questo può servire sia per far fronte all’ansia connessa alla progettazione di attività così impegnative, sia per sperimentare forme di lavoro collaborativo in ambito educativo. Terzo, l’educatore dovrebbe tenere presente che nel gioco di ruolo i rapporti sociali fra i giocatori non solo si modificano, ma diventano anche maggiormente osservabili. Può dunque capitare, ed è bene se capita, che si inizi un gioco di ruolo partendo da un’ipotesi sui rapporti sociali fra i giocatori, e poi si scopra che tali rapporti erano in realtà diversi, o sono cambiati durante il gioco: è importante dunque non rimanere ciechi di fronte a tali scoperte ‘in itinere’. Infine, è bene ricordare che il gioco, di ruolo e non, coinvolge e cambia chiunque vi partecipi – inclusi gli educatori stessi. Si presume quindi che l’educatore si dimostri attento anche verso ciò che il gioco rivela su se stessi, e non solo sugli altri.
Un’ultima domanda: personalmente pensa che la diffusione dei giochi di ruolo online sia positiva o negativa nei confronti dei giovani?
Guardi, mentre si discute se i giochi di ruolo online siano un bene o un male per i cosiddetti “giovani” (per inciso, tenga presente che moltissimi giocatori sono in realtà individui adulti), questi giustamente se ne infischiano e continuano a giocare, e noi perdiamo tempo in dispute inutili, anziché capire meglio questi fenomeni e trovare modi intelligenti per interagire con essi. Bisognerebbe invece ribaltare la questione: partiamo dal fatto evidente che molte persone si dedicano ai giochi di ruolo, sia in presenza che online, e cerchiamo di capire le ragioni e gli effetti di tale passione – ma senza velleità inquisitorie e patemi d’animo, per carità! Ci sono molte interessanti ipotesi da verificare in questo ambito, a cominciare dall’idea che i giochi di ruolo consentano di mantenere e coltivare quella capacità simbolica che, come già osservato da Piaget e Vygotsky, tende invece a diluirsi nel passaggio dall’infanzia all’età adulta. Per non parlare poi delle ovvie influenze che su tutto questo avranno fenomeni di mercato, poiché è assolutamente ovvio che il gioco è al centro di significativi interessi economici. Ma sono comunque problemi di questo tipo che dobbiamo porci, traendone conclusioni che potranno essere in alcuni casi positive, in altri meno. Ciò che invece davvero non serve è la sterile, vuota, ignorante diatriba sulla presunta bontà o cattiveria dei giochi di ruolo.
Angela Allegria
12 novembre 2006
In www.7magazine.it