Posted by Angela | 0 Comments
La controinformazione di Radio Out
Informare in modo corretto, lottare per far emergere la verità, mettere le persone in grado di capire la realtà che ci circonda per poterla criticare, tutto ciò e tanta ironia, tanta satira ed un linguaggio spicciolo: questi gli elementi che caratterizzavano Peppino Impastato ed il suo gruppo di amici che nella primavera del 1977 hanno dato vita a Radio Out. Una riflessione sull’esperienza di un giornalismo alternativo nell’esperienza di chi l’ha vissuto in prima persona e ha porta ancora oggi avanti la lotta per scoprire la verità delle cose all’interno di una realtà ancora oggi difficile. Quattro chiacchere con Salvo Vitale.
D: Com’è cambiata oggi Cinisi dai tempi di Peppino?
R: Cinisi è sostanzialmente sempre uguale, conserva al suo interno l’idea verghiana dell’ostrica. Noi, gli amici di Peppino, da tempo ci occupiamo di conservare la casa di Peppino Impastato che sta diventando un museo. Questa è visitata da circa 20 mila persone ogni anno, non da persone di Cinisi che la considerano come se fosse un corpo estraneo che non esiste. Devo dire che leggermente qualcosa cambia nel senso che il Sindaco due anni fa ha intestato l’aula consiliare a Peppino, piano piano si sta ridando a Peppino la cittadinanza che a suo tempo gli è stata negata. Speriamo di fare un buon lavoro se ci dovessero consegnare la casa di Gaetano Badalamenti che ci è stata ufficialmente assegnata, ma di cui ancora non abbiamo le chiavi. La nostra idea sarebbe quella di ripristinare il rapporto con il paese che Peppino aveva direttamente nella sua capacità di coinvolgere all’interno del circolo “Musica e Cultura” giovani di tutte le estrazioni sociali e di fare della cultura uno strumento per combattere la mafia. La nostra intenzione è quella di riprendere proprio quel progetto.
D: Come vi siete conosciuti con Peppino?
R: Andavamo a scuola al Liceo scientifico di Partinico. Io ero in uscita all’ultimo anno, lui in entrata, quindi viaggiando da Cinisi per Partinico ci siamo conosciuti. Quando è esploso il problema della terza pista di Punta Raisi, siccome io avevo un terreno proprio lì e nel frattempo ero corrispondente de “L’Ora”, ho conosciuto questo gruppo di ragazzi che allora erano attorno al PSIUP che avevano a Cinisi un rapporto più intenso e più diretto di quello che potessi avere io con il problema perché facevano parte del consorzio esproprianti. La nostra conoscenza effettiva è avvenuta in questa fase perché Peppino veniva a trovarmi nella mia campagna, diventata un punto di ritrovo dove si facevano le assemblee con i contadini.
D: Quale era la carica con la quale facevate Radio Out?
R: Radio Out faceva controinformazione. Adesso siamo tornati indietro con il controllo totale, assoluto della notizia per cui l’informazione è omogeneizzata. Rispetto all’informazione noi eravamo contro, nel senso che andavamo a cercare le notizie non ufficiali o erano relegate in qualche angolo di giornale.
Ti faccio un esempio: una mattina verso le cinque, le sei, sappiamo che un vecchietto era morto davanti alla posta di Cinisi. Andiamo e cominciamo a capire che i vecchietti cominciavano a prendere il turno per percepire la pensione a quell’orario. Era gennaio, alle sei questo signore si era presentato alla posta e per il freddo dopo circa un’ora e mezza era morto, senza avere neppure la soddisfazione di prendere la pensione. Scopriamo che c’era una fila infinita di “aspiranti pensionati” e che il disservizio riguardava l’ufficio postale. Questi possono essere fatti come altri, possono essere delitti di stato, dipende dalla capacità di saperli leggere. Noi ci eravamo illusi di avere questa capacità.
Ti potrei fare un altro esempio: i pescatori di Terrasini facevano tutti parte di una cooperativa il cui presidente era un democristiano che divenne anche sindaco della città, i suoi figli sono diventati orefici, da dove abbia preso questi soldi non si sa. Poi però andando all’interno di questa struttura siamo riusciti a capire che i pescatori davano il 3% del pescato alla cooperativa che pensava poi alla vendita e alle faccende burocratiche (il 3% è ciò che oggi i mafiosi chiedono come pizzo agli imprenditori). Vista da qui era una sorta di struttura paramafiosa che però per i pescatori era una speranza, nella stessa misura in cui oggi a Partinico alcuni ragazzi hanno fatto una ricerca chiedendo ai commercianti se pagavano il pizzo e alcuni si sono sentiti rispondere “io il pizzo lo pago, ci sto bene così non mi disturba nessuno, andartevene a studiare, cose inutili”. I livelli sono questi. Questo è fare controinformazione, per questo ti dico che oggi ci sarebbe bisogno di molti strumenti di questo tipo. Purtroppo di Peppino Impastato non ce ne sono molti!
D: Come vivevano le famiglie le vostre lotte?
R: Innanzitutto le famiglie non ci hanno mai aiutato, ci hanno trovato sempre contro, a cominciare dal contro di Peppino che era drammatico perché era costituito dal padre che lo cacciò fuori di casa. Ma non è che io o i miei amici stessimo tanto meglio. Una volta avevo finito di fare una trasmissione su Radio Out su Lima e i suoi contatti con la mafia quando davanti alla porta di casa trovo mia madre che, incazzata, mi dice “Quannu t’ammazzunu mi viestu ri russu”. Tutti abbiamo vissuto drammaticamente questo rapporto con la famiglia. L’unica persona con cui ho riconosciuto di avere davvero un contatto materno è stata la mamma di Peppino Impastato, Felicia.
D: E la lotta che gli amici di Peppino avete fatto per giungere alla verità sulla sua morte?
R: Anche lì l’idea di fare controinformazione l’avevamo recepita dai fatti di piazza Fontana. A suo tempo il gruppo di Lotta Continua pubblicò “Strage di Stato” in cui cercò di ricostruire in maniera completamente diversa quella strage, individuandone i responsabili nei neofascisti di allora. Quello era stato un primo esempio di controinformazione vera. Noi ci siamo ispirati a quel modello e nel momento in cui ci siamo visti criminalizzati ci siamo messi a fare indagini perché abbiamo visto che i carabinieri su questa cosa avevano già chiuso tutto. Siamo andati sul posto a cercare le prove, abbiamo raccolto anche parecchi frammenti del corpo di Peppino lasciati per aria in maniera vergognosa, abbiamo individuato le macchie di sangue in un casolare e abbiamo chiamato i carabinieri per prenderne atto. Quella era la prova evidente che Peppino era stato ucciso nel casolare e poi portato sui binari. Abbiamo fornito così una svolta alle indagini anche perché ci eravamo resi conto che queste erano condotte a senso unico.