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La lotta alla mafia del Centro Documentazione Peppino Impastato. Intervista al Prof. Umberto Santino
Un modo “intellettuale” per combattere la mafia, perché è necessario prima conoscere il fenomeno nella sua complessità e poi agire di conseguenza. Una lotta quella del Centro Impastato fondata sulla conoscenza dei fatti, sulla consapevolezza del fenomeno mafioso, sulla cognizione della concatenazione degli eventi.
“Al fine di sviluppare la conoscenza del fenomeno mafioso e di altri fenomeni ad esso assimilabili, a livello nazionale ed internazionale, di promuovere iniziative allo scopo di combattere tali fenomeni ed elaborare e diffondere un’adeguata cultura della legalità, dello sviluppo e della partecipazione democratica” nasce il Centro Siciliano di documentazione. Esso, fondato nel 1977 da Umberto Santino e Anna Puglisi, si è formalmente costituito come Associazione culturale nel maggio del 1980 ed è stato intitolato a Peppino Impastato.
Umberto Santino, noto studioso del fenomeno mafioso, coadiuvato da Anna Puglisi, ha messo a disposizione del suo centro una biblioteca che contiene circa 7000 volumi ed un’emeroteca che conta oltre 200 testate.
Al Prof. Santino abbiamo chiesto cosa pensa da studioso del fenomeno di Cosa Nostra dopo gli arresti di Provenzano e Lo Piccolo, anche alla luce della sua amicizia con Peppino Impastato.
D: Che legame c’è fra il vostro centro e Peppino Impastato?
R: Con Peppino ci conoscevamo ma il rapporto più intenso comincia dopo la sua morte. Ad esempio io non sapevo che fosse di famiglia mafiosa. Il Centro è stato dedicato a Peppino per due ragioni: è un caso unico nella lotta contro la mafia per la sua provenienza da una famiglia mafiosa, aveva una concezione complessa della mafia (non solo organizzazione criminale, ma soprattutto sistema di potere legato alla politica) e dell’antimafia, svolta attraverso la controinformazione, l’animazione culturale, l’impegno sociale e politico.
D: Cosa è cambiato dopo l’uscita de “I centopassi”?
R: Moltissimi hanno conosciuto Peppino attraverso il film e un certo numero di spettatori ha desiderato approfondire la conoscenza della sua figura, mettendosi in contatto con noi, con i familiari, con alcuni compagni. In tutto qualche migliaio. È aumentata la partecipazione alle manifestazioni come pure la richiesta nelle scuole, ma la maggior parte degli spettatori si limita all’icona cinematografica, alquanto riduttiva.
D: Che analisi si può fare di Cosa Nostra oggi, dopo la cattura di Provenzano e Lo Piccolo?
R: Gran parte della struttura militare è smantellata, ma rimane in piedi il sistema dei rapporti, soprattutto quelli con la politica. Ma su questo terreno fondamentale più che la magistratura e le forze dell’ordine deve operare la società nel suo complesso, per esempio non votando i personaggi condannati o sotto processo che invece raccolgono valanghe di voti. Ciò significa che il consenso per questi personaggi è molto forte e bisognerebbe chiedersi il perché. Evidentemente essi assicurano buoni affari alla “borghesia mafiosa” e redditi di sopravvivenza agli strati popolari.
D: E l’Antimafia? Che ruolo ha oggi?
R: Dopo le stragi ci sono state grandi manifestazioni, ma le iniziative continuative, nelle scuole, nell’antiracket, con l’uso sociale dei beni confiscati, continuano a coinvolgere un numero ancora limitato di pesone. Manca un progetto che miri alla creazione di un blocco sociale alternativo, coinvolgendo soprarattutto gli strati popolari.
D: Peppino venne ucciso perché non aveva taciuto. Oggi sono pochi i giornalisti che non tacciono, che cercano la verità e la diffondono e per questo sono minacciati di morte (ad es. Lirio Abbate o Carlo Ruta). Sono passati trenta anni ma la realtà della informazione non sembra cambiata. È davvero così?
R: Peppino praticava la controinformazione, l’inchiesta sul territorio. I giornalisti, anche i più coraggiosi, usano soprattutto fonti giudiziarie, in particolare le dichiarazioni dei cosiddetti “pentiti”. È un altro genere di lavoro, molto meno politicizzato.
D: Da storico, da presidente del Centro Impastato che soluzioni sia pur parziali propone per combattere la mafia?
R: Bisogna affrontare la mafia nella sua complesità: sul piano criminale-repressivo, sul piano economico, politico, culturale, spezzando soprattutto i legami con quella che chiamo “borghesia mafiosa” (professionisti, imprenditori, amministratori, politici, rappresentanti delle istituzioni) e con il blocco sociale più ampio, che coinvolge anche strati popolari, rafforzando l’economia legale per soddisfare bisogni che altrimenti trovano una qualche soddisfazione nelle reti clientelari più o meno direttamente legate alla mafia. Per operare in questa direzione occorre un progetto che finora non si è riusciti a mettere in piedi, per lo scarso impegno di sindacati (bisognerebbe organizzare i disoccupati e i precari) e forze politiche (si è smarrita un’identità delle sinistre che un tempo era basata soprattutto sulla presenza nel territorio) e per l’inadeguatezza della società civile organizzata, che è ancora minoritaria.
Angela Allegria
6 aprile 2008