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La Maria Stuarda di Donizetti in scena al Bellini di Catania
Maestosità della scena, cura nei costumi d’epoca, nelle acconciature, fiati giocosi pur in una vicenda tragica, pizzicati degli archi accompagnati da legati sublimi, curata sinergia fra orchestra e cantanti, in una parola coralità: queste le caratteristiche della Maria Stuarda, messa in scena a Catania dal Teatro Massimo Bellini sotto la direzione del regista Francesco Esposito e del Maestro Antonino Fogliani.
La scena si apre come un quadro: il trono, le sbarre di una prigione, e agli estremi di esse due donne, due regine, le protagoniste dell’opera, Maria Stuarda e Elisabetta.
Le due donne sulla scena non si toccano mai, sono divise da una grata, dalle sbarre del carcere, all’interno del quale finisce chi ha meno potere.
Al centro della vicenda la vendetta di due donne per un uomo e per un regno.
La scena per i primi due atti è quasi interamente dominata dalla presenza di Elisabetta, orgogliosa, superba, altera, espressione del potere, ma anche donna innamorata di Roberto, conte di Leicester.
La personalità di Maria Stuarda viene in luce nel primo atto attraverso le parole di Talbot che, dialogando con Leicester la definisce: “Un angelo d’amor, bella qual era, e magnanima sempre”.
Ma più ancora, nel secondo atto è la regina d’Inghilterra a fornire una raffigurazione della rivale a tutto tondo: “È sempre la stessa superba, orgogliosa; coll’alma fastosa m’ispira furor; ma tace; sta oppressa da giusto terror”.
Roberto, sulla scena Alexandru Badeu, innamorato di Maria Stuarda, intercede per lei presso la regina, ma nessuna lite fra donne può essere compensata da un uomo, e in tal contesto la posta in gioco non è solo il cuore di Leicester, ma il potere.
È infatti il potere a muovere ogni azione, ed è su tale brama, sull’idea che il popolo inglese ha della sua regina che Cecil, il tesoriere di Elisabetta, la convince ad emettere la sentenza di morte.
Il terzo atto è dominato dal rosso del sangue che si sta per versare, il rosso del potere che con il sangue si consolida, ribadendo la sua caratteristica di assolutezza: è Elisabetta a legiferare, ad emettere la sentenza, a far eseguire la condanna, è Elisabetta che potrebbe concedere la grazia, ma sa che se lo fa, il suo potere non sarebbe incontrastato.
In correlazione al rosso sta il nero alla consegna della sentenza.
Fra questi due colori emerge la luce della fede che accompagna la regina cattolica alla scure.
Il contrasto religioso fra cattolici e protestanti non è ignorato dalla regia: accanto alla preghiera di Maria Stuarda che perdona anche chi la priva della vita, cavalieri e dame indossano un crocifisso rappresentando la Scozia cattolica.
Ciò si coglie anche negli ultimi versi “Or su l’Angla la pace è sicura”, unico regno, unica fede.
Un crescendo di toni accentua la drammaticità della esecuzione, l’uso delle percussioni scandisce, esalta i momenti intensi della vicenda.
La sincronia vocale fra i protagonisti e fra questi ed il coro è eccellente. Sublime l’interpretazione di Maria Costanza Nocentini che ha fatto rivivere Maria Stuarda, buona anche quella di Maria Pia Piscitelli, Elisabetta.
Accorato ed appassionato Alexandro Badeu nel ruolo di Leicester, accompagnato da un profondo Enrico Turco, Talbot.
Sensibile alla musica, alle parole, alla scena, preciso, coinvolto e coinvolgente il maestro Fogliani ha diretto con maestria l’orchestra del Teatro Massimo Bellini.
L’arpa nella preghiera della regina di Scozia prima sussurrata, aumenta di intensità per sottolineare il vero potere, il vero trionfo: colei che, innocente, viene sacrificata.
Angela Allegria
25 marzo 2009
In www.modica.info