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La Medea apre la stagione lirica del Teatro Bellini di Catania
Dopo la prima ed unica esecuzione il 30 gennaio 1981 torna a Catania la Medea, opera in tre atti di Luigi Cherubini con libretto di François Benoit Hoffmann in traduzione italiana di Carlo Zangarini per la regia di Lamberto Puggelli.
La scena si apre con un telo bianco che, come la vela di una nave, porta lo spettatore dal teatro Bellini, in Grecia, dentro un teatro antico.
Come in un sogno il regista Lamberto Puggelli tesse la trama del racconto a cui il direttore d’orchestra, Evelino Pidò, dà la voce musicale.
La vela comincia a gonfiarsi, dietro appaiono gli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, le battaglie, la passione di Giasone per Medea, l’ausilio di lei che per amore arriva anche ad uccidere.
Poi ancora una dissolvenza: dal teatro si passa al palazzo di Corinto all’interno del quale Glauce, figlia del re Creonte, si prepara alle nozze con Giasone, ma non senza un oscuro presagio.
L’ingresso di Medea sulla scena è teatrale e macabro: vestita di nero, col velo scuro che ne cela il volto e un pugnale cinto alla vita.
Il primo atto si conclude con un telo rosso, sapore di morte, odore di sangue, che scende sulla scena e che anticipa ciò che Medea stessa ha innanzi annunziato al consorte: “Ma prima di morir la mia vendetta avrò!”
La tragedia si realizza nel secondo atto che si conclude con la discesa di un velo nero, simbolo di morte per l’antagonista Glauce e per quel Creonte che aveva intimato alla maga colchide l’esilio.
L’esecuzione è caratterizzata da un’intensa coralità scenica, vocale, strumentale e di luci.
L’acceso simbolismo è evidenziato dalle maschere greche che si sovrappongono alla scena, dalle statue di pietra all’interno delle quali prima Creonte e poi Giasone si chiudono per dimostrare la loro fortezza d’animo, il senso del dovere che Medea, donna, astuta, maga, aiutata da Finzione riesce a trasformare in umani per farli cadere nella sua trappola, dalla visione delle immagini di donne con bambini che sovrastano la scena mentre all’inizio del terzo atto si vede, come un’anticipazione, Medea nell’atto di completare la sua vendetta uccidendo i suoi figli, i figli di Giasone.
Non importa all’eroina euripidiana il dolore che proverà come madre, ha un solo unico scopo: divorare come una fiera la sua preda, Giasone, colui per il quale ha dato tutto sacrificando persino il suo sangue. E lui, “crudel”, aveva sciolto tutti i suoi giuramenti dicendo alla donna ormai ripudiata “Me lieto aspetta l’alba al talamo di Glauce mia diletta”.
Intensa e decisa la musica di Cherubini che con i suoi crescendo e diminuendo crea una coralità uniforme, un’unità di cui il direttore d’orchestra è l’artefice, il magister, il protagonista, proprio come lo aveva concepito l’autore.
La capacità artistica del Maestro Evelino Pidò è esclusiva: dirige suoni, silenzi, musica ed arie trasmettendo al pubblico la carica emotiva, la passione, il vigore di un’opera vissuta e che fa rivivere sul palcoscenico.
Il virtuosismo vocale di Anna Chierichetti nel ruolo di Glauce e la vibrante voce di Chiara Taigi, la quale, con la sue innate doti sceniche, ha ridato la vita a Medea, porgendola ad un pubblico attento e partecipante, la potenza della voce di Carlo Cigni, Creonte, e la limpida seppur tenue esecuzione di Andrea Carè, Giasone, sono state sostenute dal coro del Teatro Massimo Bellini diretto da Tiziana Carlini.
Un’opera sempre attuale come lo fu fin dalla sua prima apparizione sulla scena del teatro classico a firma di Euripide, il quale aveva scritto la tragedia per dar voce all’editto che dichiarava nulli i matrimoni fra greci e barbare e invitava costoro a lasciare il suolo ellenico.
È Puggelli stesso a scrivere nella Nota di regia quali sono i suoi obiettivi: “Raccontare una storia appassionante collocandola dentro la Storia o il mito senza imbalsamarla in stereotipi fermi nel tempo, ma rivelando il segreto movimento che la rende perenne. Adoperare il pirandelliano cannocchiale rovesciato e allontanare brechtianamente la vicenda per osservarla lucidamente e scientificamente. Raccontare quindi l’eterna storia dell’uomo che nasce, vive, ama, odia, muore.
Raccontare una storia appassionante che si svolge qui ed ora, che “accade” per noi, attraverso di noi, senza passato e senza futuro. Osservandola con una lente, un microscopio, e guardando dentro l’uomo, dentro di noi con passione e disperato amore, lacerando i veli del mistero che infittiscono sempre di più partecipando al dolore del mondo”.
A far da cornice all’evento la mostra pittorica di Giuseppa D’Agostino, dedicata proprio a Medea e collocata nel foyer del teatro.
Con colori intensi, robusti, possenti l’artista riesce a penetrare l’animo umano tramite il dramma di Medea che colloca in un’atmosfera inquietate data dai rossi violenti, dai blu scuri, dai neri con cui rappresenta il tormento di morte.
Una tela, “Alle vittime innocenti”, colpisce l’occhio, inquieta, fa riflettere sul binomio ingiustizia-vendetta che avvolge la vita di Medea e non solo di lei.
Angela Allegria
25 gennaio 2009