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La mediazione familiare come possibilità per raggiungere accordi condivisi
L’istituto della mediazione familiare posto in un contesto nel quale i conflitti fra i coniugi vengono risolti prevalentemente in ambito giudiziario, offre l’occasione di risolvere in maniera alternativa un conflitto che può protrarsi per anni con effetti negativi generalizzati, primo fra tutti un accordo non soddisfacente che viene subito da una delle parti o da entrambi.
Iniziare un percorso di mediazione familiare, composto da dieci o dodici incontri, a seconda dei casi, permette alla coppia di approdare ad accordi costruttivi che possano sopravvivere al futuro.
Il conflitto che sta alla base della separazione è visto spesso in maniera negativa, ma può costituire una risorsa preziosa per intraprendere un percorso personalizzato che mira al futuro, con la consapevolezza di essere genitori per sempre.
Il conflitto in sé non è né positivo né negativo: costituisce una forza naturale, necessaria per la crescita e il cambiamento. L’energia generata nel conflitto può essere utilizzata in modo costruttivo, anziché distruttivo e, quando i conflitti sono risolti in modo cooperativo anziché attraverso la contestazione, le relazioni possono uscirne migliorate e rafforzate.
Nella mediazione familiare, che offre un mezzo positivo per comporre vertenze e gestire conflitti, il mediatore mantiene una posizione centrale e bilanciata tra i partecipanti. Da questa posizione centrale, lo stesso può aiutare le parti ad incanalare e combinare le loro energie al fine di elaborare soluzioni, anziché litigare, rinunciare o accettare un compromesso insoddisfacente.
La sfida maggiore per il mediatore consiste nel far comprendere alle parti che, anche se non sono più coniugi, restano sempre coppia genitoriale, fulcro centrale della vita dei figli. È importante per il mediatore far comprendere alle parti che si è genitori a vita e che i figli hanno bisogno del padre e della madre in egual misura. È fondamentale, durante tutto l’arco della mediazione diffondere la consapevolezza che i figli non costituiscono una sorta di merce di scambio da usare per colpire l’ex coniuge impedendo o quanto meno rendendo difficile gli incontri con l’altro genitore.
Per fare ciò il mediatore deve avviare un processo comunicativo fra le parti, in modo che questi riprendano a parlarsi e a comunicare in modo corretto ed efficace.
Il mediatore familiare è prima di tutto un facilitatore della comunicazione e come tale ha un ruolo neutrale fra le parti. È obiettivo, dedica lo stesso tempo ad entrambi, non mostra di preferirne una o l’altra, è un terzo imparziale con il quale la coppia genitoriale costruisce un’equipe atta ad attenzionare i bisogni dei figli.
È il mediatore che, attraverso gli incontri programmati, aiuta la coppia genitoriale in crisi ad instaurare un dialogo e a raggiungere un accordo condiviso sulle questioni emotive e materiali rimaste in sospeso.
La mediazione familiare non è una terapia, né una consulenza di coppia, né tantomeno un intervento di conciliazione messo in atto dal giudice.
La mediazione familiare assolve ad una funzione preventiva e propedeutica all’assunzione dei provvedimenti da parte del giudice e si pone come alternativa, sia al processo (ossia al modo di procedere), sia al giudizio (ossia ai criteri per decidere). Essa svolge, ad un tempo, un ruolo deflattivo del processo civile, contenendo la domanda di giustizia e contenitivo della conflittualità.
In via di prima approssimazione, occorre, altresì, notare come la mediazione familiare cui rinvia la legge 8 febbraio 2006 n. 54 sull’affidamento condiviso dei figli, pur rimanendo un momento extraprocessuale, si innesti in un procedimento già avviato di natura processuale, aprendo una parentesi infraprocessuale all’esito della quale gli effetti in essa prodotti si riverbereranno sul giudizio.
Anche se non demandata dal giudice, la mediazione familiare può essere scelta volontariamente dai coniugi in procinto di separarsi: in questo caso si intraprende un percorso che, mediante gli incontri cadenzati, porterà alla stesura di un accordo condiviso e partecipato che potrà successivamente essere omologato.
Ci si può rivolgere al mediatore familiare se si riscontrano problematiche legate alla parziale o totale mancanza di comunicazione o se vi sono questioni attinenti determinati tipi di comunicazione fra i coniugi, con i figli, in famiglia. In questo caso, il ruolo del mediatore, lungi dall’essere strettamente giuridico, è quello di facilitatore della comunicazione puro.
Al mediatore possono rivolgersi anche le coppie di fatto, non è necessario un vincolo giuridico.
Il passato serve al mediatore solo per comprendere le ragioni che hanno portato alla rottura, tutta la mediazione è rivolta al futuro, alla ricerca di accordi utili e duraturi, ma soprattutto condivisi perché stabiliti e voluti unicamente dalle parti.
A differenza del giudizio nel quale c’è un vincitore e un vinto, nella mediazione entrambe le parti sono vincitori perché sono loro a decidere, insieme, del loro futuro.
Il mediatore ha solamente il ruolo di guida, di facilitatore, di mentore che conduce l’attenzione dalle posizioni iniziali ai veri bisogni, a ciò che è veramente importante per le parti.
Il mediatore familiare è un interprete per la coppia in quanto spesso traduce, riformula, spiega con altre parole ciò che la stessa ha difficoltà a comunicare. Lo stesso messaggio pronunciato da una tersa persona, emotivamente non coinvolta, può essere ascoltato in modo differente. Oltre a ripetere frasi, può essere necessario che il mediatore riformuli, in modo che chi parla si senta ascoltato e capito. Allo stesso tempo, il mediatore sta aiutando l’altra parte ad ascoltare e a comprendere e può darsi che questa risponda positivamente, invece che con aggressività.
Per fare questo il mediatore userà un linguaggio semplice, positivo, capace di essere compreso da tutti, spesso adattato alla tipologia di persone che si presentano in mediazione.
È importante che anche l’accordo finale sia redatto con un linguaggio semplice, chiaro, comprensibile in quanto espressione evidente di ciò che le parti vogliono davvero.
È necessario che il mediatore orchestri le discussioni e gestisca il tempo. Per fare ciò è utile il concetto di punteggiatura: sottolineare, mettere un punto, iniziare un nuovo paragrafo. È possibile mantenere una struttura, segnalando la fine di ogni movimento (preparare l’ordine del giorno), prima di passare al seguente (raccogliere informazioni).
Il mediatore deve essere proattivo, e non solo reattivo, nel gestire la struttura e il ritmo delle sedute.
La punteggiatura aiuta a mantenere i partecipanti sulla strada giusta, sottolineare una particolare discussione, enfatizzare i progressi e rinforzare la cooperazione, segnalare le fasi del processo, pianificare la fase o il gradino successivo.
La punteggiatura solitamente è verbale, ma spesso si utilizza la lavagna per mostrare l’ordine del giorno e la struttura, in modo che ognuno possa orientarsi più facilmente.
Il mediatore ha il ruolo di incoraggiare le parti anche nei momenti difficili, facendo vedere i progressi acquisiti e filtrando le negatività.
Egli usa un linguaggio semplice, positivo sin dalla prima telefonata, fino alla stesura dell’accordo che deve contenere un linguaggio facilmente comprensibile.
Tecnica e strumento di lavoro essenziale per il mediatore è l’uso di domande. Queste servono per apprendere informazioni, capire meglio le situazioni che si propongono, verificare le ipotesi, riassumere, valutare delle possibilità, strutturare e controllare il setting, far emergere i veri bisogni della coppia in opposizione alle posizioni assunte da ognuno delle parti, in una parola, gestire il conflitto.
Ne esistono diverse tipologie: le domande aperte invitano a una risposta generale o a ruota libera, quelle chiuse restringono le informazioni che possono essere fornite in risposta e mantengono il controllo sul processo, quelle mirate si rivolgono ad una parte, solitamente ad ognuna delle parti a turno, quelle non mirate permettono ad entrambe le parti di rispondere, quelle orientate al passato, al presente o al futuro orientano l’attenzione sul passato, sul presente o sul futuro, quelle esplorative si concentrano sulle vie per raggiungere un accordo, le informative cercano informazioni specifiche o incoraggiano una risposta più completa, le riassuntive sono utili a puntualizzare, le strategiche indicano un cambiamento di direzione, le riflessive offrono lo spunto per valutare nuove prospettive, le ipotetiche permettono di valutare possibilità senza chiedere alle persone di compromettersi, le circolari aiutano a capire percezioni e relazioni in famiglia.
Kelsen parla di una struttura di tipo piramidale identificabile nel tipo di domande e nella scelta dei tempi che inizia con domande più ampie mirate a raccogliere informazioni, che gradualmente si affinano, divenendo più precise con il progredire della mediazione.
È utile formulare domande aperte in modo che le parti possano parlare e spiegare il ragionamento.
Evitare di fare domande suggestive che possono compromettere la verità della risposta.
Le domande ipotetiche aiutano le parti ad immaginare una situazione possibile, senza compromettersi o sentirsi intrappolate, e possono “liberare” le persone dalla loro situazione attuale, aiutandole a proiettarsi nel futuro per valutare delle possibilità, come se si mandasse avanti la pellicola di un film.
Porre domande circolari è un metodo per raccogliere e chiarire informazioni, derivato dalla teoria dei sistemi. Si tratta di una tecnica utilizzata dai terapeutici familiari, che può essere impiegata anche nella mediazione e che analizza percezioni, rapporti e comunicazioni all’interno delle coppie e delle famiglie. Questo tipo di indagine è studiata per permettere alle persone di fare una pausa e di riflettere prima di rispondere.
Le domande circolari si concentrano sulla comunicazione e sull’interazione nella mediazione fra i due partecipanti e in relazione ai loro figli, permettendo un superamento della comunicazione a senso unico fra ogni singolo partecipante e il mediatore. Esse cercano delle connessioni, più che concentrarsi sul divario fra le diverse prospettive e posizioni e la loro utilità consiste nello spezzare le abituali spiegazioni causa-effetto, che incoraggiano il biasimo. Le domande che invitano qualcuno a cercare di spiegare come un’altra persona – presente o no – si ponga di fronte a un problema, anziché chiedere all’interrogato il suo modo di porsi in proposito, incoraggiano uno spostamento di prospettiva che può condurre a nuove possibilità di comprensione o a prospettive mai usate.
La novità costituita dalle domande formulate in questo modo può sciogliere uno schema mentale rigido, permettendo alle idee di circolare.
Questa tecnica è particolarmente utile per aiutare i genitori a valutare i bisogni e i sentimenti dei loro figli. Se entrambi i genitori rispondono con una descrizione simile di sentimenti e necessità di un bambino, il mediatore, partendo dalle loro preoccupazioni comuni, può passare a considerare optioni e accordi. Se però c’è disaccordo, si possono formulare ulteriori domande circolari a proposito di come mostrare sentimenti diversi ai genitori, in momenti differenti. Si può chiedere a ciascun genitore quale sarebbe la risposta del figlio, o dei figli, se si domandasse loro quali sentimenti provino, o che cosa li preoccupi di più in quel determinato momento.
Le domande circolari invitano spesso a fare dei confronti, ad esempio fra prima e dopo, o a chiedersi cosa potrebbe essere meglio o peggio per i figli. Esse aiutano i partecipanti a guardare attraverso gli occhi di qualcun altro, specialmente quelli dei loro figli, e forse a vedere le cose in una luce diversa.
Il rispetto del silenzio è il primo modo per dimostrare all’altro la possibilità di esprimersi secondo i suoi ritmi e le sue modalità.
I silenzi sono comuni nella mediazione e possono corrispondere a momenti di riflessione o a momenti emotivamente carichi.
È importante che i mediatori accettino il silenzio e non si affrettino a riempirlo. Se l’atmosfera è riflessiva, è necessario concedere tempo, ma se è molto carica e minacciosa, può essere essenziale riconoscere e affrontare la tensione, per prevenire un’esplosione dannosa durante la mediazione o in seguito.
Durante gli incontri di mediazione emergeranno le emozioni, i bisogni, le necessità dei soggetti coinvolti che verranno incanalati verso i veri interessi nel rispetto proprio e dei figli.
Al centro della mediazione stanno gli interessi dei figli che possono anche essere coinvolti nella stessa, evitando di sottoporli a domande dirette o a stress eccessivi. In realtà esistono due orientamenti antitetici e contrapposti: uno secondo il quale i figli devono essere esclusi dalla mediazione familiare per non coinvolgerli direttamente e un altro secondo il quale il coinvolgimento dei figli in alcuni incontri offre la possibilità di far comprendere agli stessi la situazione e di non fargli immaginare realtà peggiori.
Prescindendo dal dibattito circa l’ammissibilità o meno dei minori all’interno di un processo di mediazione familiare, il Lausanne Triadic Play e il disegno congiunto permettono al mediatore di acquisire informazioni utili e complete, senza porre domande dirette al minore.
Il Lausanne Triadic Play è rivolto a bambini inferiori a 6 anni e si svolge tramite un preciso schema: prima un genitore gioca con i figli e l’altro genitore osserva, poi si scambiano i ruoli, in un terzo momento sono entrambi i genitori a giocare con i figli, infine, possibilmente in una seduta a parte, senza la presenza dei figli, si confrontano su ciò che è avvenuto.
Tale gioco è importante per verificare come i genitori e figli interagiscono fra loro, se ci sono alleanze, empatia.
È importante riscontrare se c’è interruzione nella comunicazione e da cosa è creata, se emerge che un genitore anticipa i figli o ne interrompe la comunicazione con l’altro genitore. Osservare se il figlio, mentre gioca con un genitore guarda o cerca l’altro, fare attenzione alle espressioni dei genitori che osservano.
Anche in questo caso è importante l’osservazione, ma, potrebbe anche essere utile filmare il gioco per poterlo rivedere con le parti e far notare ulteriori particolari.
Il disegno congiunto è indicato per bambini di età superiore ai 6 anni. In questo caso serve un foglio molto grande e dei colori differenti. Ogni membro della famiglia sceglierà un colore e disegnerà la sua visione della famiglia.
Il tema dato dal mediatore può essere vario: può riguardare la famiglia reale, quella ideale, una famiglia composta da animali.
È importante fare attenzione alla figura che viene disegnata per prima, ai colori utilizzati, alle dimensioni, ma soprattutto alle mancanze. Sono queste che indicano il conflitto e la mancanza di comunicazione.
È utile guardare alle linee di basso che di solito indicano insicurezza, alla presenza di animali o del sole.
Nella seduta successiva può essere interessante commentare il disegno con i genitori.
Il disegno congiunto ha anche un alto significato simbolico: è la dimostrazione tangibile che è ancora possibile costruire qualcosa insieme anche se separati, perché si è genitori per sempre.
Sul piano applicativo, si sia ancora in attesa di una definizione formale della figura del mediatore familiare: se, dal punto di vista processuale, questo viene generalmente ricondotto agli ausiliari atipici del giudice di cui all’art. 68 c.p.c., è dal punto di vista pratico dell’inquadramento professionale che si incontrano le maggiori difficoltà: sebbene sia opinione condivisa che il mediatore debba essere soggetto che garantisca neutralità, terzietà ed imparzialità sia rispetto alle parti, sia rispetto al giudice, è ancora da definire un unitario percorso formativo, il corpus di regole deontologiche e l’eventuale inquadramento in un albo o elenco professionale.
Conseguenza diretta di ciò è la sovrapposizione di ruoli che spesso nella pratica avviene. Talvolta, infatti, mediatori e legali si comportano un po’ come genitori che divorziano e litigano per ottenere l’affidamento di un bambino. Se mediatori e avvocati si pongono in competizione per il possesso di un territorio che entrambi vogliono, i loro poveri clienti possono finire strattonati fra loro, come figli di genitori in lite.
È importante che mediatori e avvocati si rendano conto che la mediazione è complementare alla consulenza legale e al negoziato da parte dei legali: non li sostituisce.
La stessa cosa avviene con gli psicologi. Spesso capita che innanzi ad una coppia che si separa lo psicologo agisca come tale per curare la coppia, ignorando che, oltre la sua attività di sostegno è importante la comunicazione e la formazione di un accordo condiviso inteso come facilitazione non solo della comunicazione fra i coniugi, ma anche e soprattutto come semplificazione dell’iter giudiziario che andrebbero ad intraprendere con riduzione anche dei tempi della giustizia.
Bibliografia
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· PARKINSON, La mediazione familiare. Modelli e strategie operative, Trento, 2003.
Angela Allegria
23 luglio 2022
In Nuove Frontiere del Diritto