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La semplicità di compiere il proprio dovere
La morte di Rosario Livatino, giudice e credente, interpella la coscienza dei magistrati e dei credenti, ma anche di ogni cittadino.
Rosario Livatino viveva il suo lavoro isprirandosi a valori morali e religiosi sostanziali che riflettevano ciò che egli sentiva dentro. Scrive infatti riferendosi al ruolo del giudice: “Il giudice di ogni tempo deve essere ed apparire libero ed indipendente, e tanto può essere ed apparire ove egli stesso lo voglia e deve volerlo per essere degno della sua funzione e non tradire il suo mandato.”
Ciò prospetta una personalità ferma ed irremovibile, non ricattabile, semplice e schietta, guidata dal desiderio di amministrare per il meglio la Giustizia. Scelta non facile in una società in cui imperversa la corruzione, il clientelismo, la Mafia.
Scelta che deve essere guidata da Dio che conosce anche le cose che sfuggono a noi poveri esseri finiti. Una scelta di fede che lo accompagnerà per tutta la sua breve esistenza. Scrive infatti nella sua agenda nel 1978: “Oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige”.
Il senso di religiosità insito nel suo essere lo accompagna sempre: ogni mattina prima di recarsi al lavoro il giudice Livatino va in chiesa, si inginocchia e prega per alcuni istanti.
La sua è una vita semplice come semplice era la sua camera a Canicattì: un letto anonimo, sul cui cuscino é adagiato un rosario; in un angolo, una vecchia macchina da scrivere; una sedia di plastica ed una comunissima scrivania, sulla quale trova spazio solo una lampada ed un Vangelo; un armadio anonimo ed una bassa scansia, dove sono rimaste alcune riviste, una libreria con tante videocassette di film.
Scrive il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso nel 1990, poco dopo l’attentato: ” Un ondata di commozione pervade l’Italia tutta, che scopre attraverso i giornali la sua storia di giudice, dal volto pulito di ragazzino, dallo sguardo limpido, schivo in vita da qualsiasi esibizionismo. Il sacrificio di Rosario Livantino, anche se si è consumato nell’ambito di una vicenda umana, può bene essere considerato un martirio.
Lo stesso Pontefice nella sua visita pastorale in Sicilia, il 9 maggio 1993,con parole commosse, ricorda come martiri della giustizia Rosario Livantino e don Pino Puglisi, “che , per affermare gli ideali della giustizia e della legalità hanno pagato con il sacrificio della vita il loro impegno di lotta contro le forze violente del male”.
Vorrei concludere queste brevi riflessioni su un grande esempio di professionalità, di diligenza, di impegno ed equilibrio, di purezza e semplicità, di profonda umanità con le parole del Presidente Ciampi: “Livatino ci ha lasciato una eredità morale che tutti noi siamo chiamati a raccogliere, una testimonianza di fede, di coerente rigore e di impegno civile da non dimenticare”.
Angela Allegria
2 marzo 2006