Posted by Angela | 0 Comments
La sindrome da alienazione parentale, nuovo abuso sul minore
Se una separazione comporta disagi per i figli che devono abituarsi alla nuova situazione, pratica, psicologica, affettiva, a volte questa può addirittura provocare traumi psicologici gravi, capaci di influenzare tutta la loro vita.
È il caso della sindrome da alienazione parentale, considerata una forma di abuso sul minore.
Una sorta di manipolazione, effettuata da un genitore, capace di influenzare la vita del figlio, fino al punto di fargli negare in toto l’altra figura genitoriale.
La situazione è abbastanza complessa. Per avere qualche chiarimento la Dott.ssa Sonia Mancini, psicologa dell’età evolutiva, ha accettato di rispondere a qualche domanda.
Dott.ssa, cosa è la sindrome da alienazione parentale e quanto è diffusa nel nostro Paese?
La Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) è una delle forme di abuso cui si sta recentemente prestando attenzione. Negli ultimi anni, nei casi di separazione e/o divorzio, si incontrano sempre più spesso bambini che rifiutano uno dei loro genitori senza una causa apparente, limitandosi ad esprimere dei sentimenti negativi, spesso di ostilità e di odio nei suoi confronti. La sua manifestazione principale, infatti, risulta essere la campagna di denigrazione rivolta contro un genitore, allo scopo di ottenere che il figlio si rifiuti di frequentarlo.
Va precisato che il termine “alienante”, riferito al genitore, è da intendersi in un duplice effetto: il genitore alienante aliena (rende estraneo) l’altro genitore al bambino, ma aliena anche il bambino a se stesso, abusando del suo potere psicologico per distruggere l’immagine dell’ex coniuge che il bimbo si è formato nel tempo, per sostituirla ed imporgli la propria.
Gli scopi del genitore programmatore o alienante sono molteplici: spesso la motivazione è quella di ottenere l’affidamento esclusivo del figlio o di ottenere concessioni economiche; non è poi da escludere che la controversia tra i due ex coniugi possa essere un modo per mantenere un legame tra i due: molto spesso la programmazione si verifica in situazioni di gelosia a causa della nuova condizione sentimentale dell’ex coniuge. Non sempre il genitore alienante inventa volontariamente accuse infondate per raggiungere obiettivi personali, ma può anche essere convinto della necessità di limitare la relazione del figlio con l’altro genitore, anche in buona fede, sulla base dei propri vissuti e delle proprie difficoltà psicologiche che tende a proiettare sul bambino.
Come si manifesta?
Quando il genitore alienante ostacola costantemente la relazione del figlio con l’ex coniuge, con il passare del tempo il bambino riceve il messaggio, non detto esplicitamente, ma comunque molto chiaro, che un genitore è superiore all’altro. I bambini più piccoli sono i più vulnerabili di fronte a questo messaggio, e tendono ad accettarlo senza spirito critico o di contraddizione, facendo proprie le idee e gli affetti del genitore alienante.
La programmazione da parte del genitore crea confusione nel bambino con il risultato dell’interiorizzazione di credenze e percezioni distorte, a tal punto che lo può portare a fare della manipolazione un proprio strumento relazionale.
La PAS si manifesta attraverso otto “sintomi” principali: messa in atto di una campagna di denigrazione; motivazioni futili, incongrue rispetto alla violenza della campagna di denigrazione
messa in atto; mancanza di ambivalenza, per cui il bambino è chiaramente schierato a favore del
genitore affidatario ed esprime un giudizio totalmente negativo a carico dell’altro
genitore; fenomeno del “pensatore indipendente”, per cui il bambino è assolutamente convinto che il suo giudizio origini da una sua valutazione scevra da qualsiasi condizionamento e influenza da parte del genitore alienante; appoggio automatico del genitore alienante; assenza di senso di colpa nel bambino; presenza di “scenari presi a prestito” ossia di espressioni, termini, situazioni che il bambino non conosce ma che sono inculcate dall’adulto; estensione dell’ostilità alla famiglia allargata del genitore alienato.
Un figlio che vive in un’atmosfera di rabbia e di rifiuto finirà per assorbire ed adottare questo contesto. È comprensibile come il suo bisogno di sicurezza, la sua situazione di dipendenza e la paura di perdere anche il genitore con cui vive lo spingano ad identificarsi con quest’ultimo e a schierarsi dalla sua parte. La conseguenza importante è che il genitore alienante forza il bambino a scegliere i suoi genitori, e ciò è in opposizione diretta con il benessere emotivo del bambino.
Il bambino ha sempre un ruolo “passivo”?
Quello che differenzia una PAS da un semplice “lavaggio del cervello”, è il fatto che il bambino diventa egli stesso protagonista della campagna di denigrazione ed è proprio questa combinazione di comportamenti che legittima una diagnosi di PAS. Sebbene la manipolazione abbia origine dal genitore, infatti, il figlio rappresenta una parte attiva nella campagna di denigrazione che spesso supera i comportamenti e le aspettative del genitore alienante stesso.
Come conseguenza di queste dinamiche i bambini, difatti, imparano a manipolare, non solo per ottenere un vantaggio, ma per sopravvivere. Diventa esperto prima del tempo per decifrare l’ambiente emotivo in cui vive, immergendosi nelle menzogne, ma è importante sottolineare che resta pur sempre una vittima dell’abuso psicologico a cui è stato sottoposto.
Cosa può fare l’altro genitore per recuperare il rapporto con il figlio?
Sono molte le tecniche messe in atto dal genitore alienante al fine di “sgenitorializzare” l’ex coniuge, ad esempio chiamandolo per nome; manifestando comportamenti intrusivi durante le giornate che il minore trascorre con l’altro genitore magari telefonando in continuazione; impedendo all’ex coniuge di entrare in casa e costringendolo ad aspettare il figlio in auto suonando il clacson per avvisare del suo arrivo; imponendo al figlio il cognome del nuovo partner; metacomunicando sull’altro genitore in modo paradossale creando delle modalità a doppio legame che confondono il minore rendendolo anche più suggestionabile.
La reazione inevitabile che si innesca nel genitore bersaglio è quella di rabbia e collera che, rendendosi visibile agli occhi del figlio, rischia di alimentare ulteriormente la convinzione che il genitore alienante abbia ragione nel ritenerlo responsabile del proprio malessere, avvalorando la campagna di denigrazione. Nei casi in cui una presunta PAS sia in corso è necessario, e di vitale importanza, che il genitore bersaglio si rivolga ad un esperto delle relazioni genitoriali, affinché venga sostenuto e supportato nel non lasciarsi confondere dall’ostilità del figlio. Il genitore bersaglio dovrebbe essere rassicurato in modo tale da poter modulare le proprie reazioni e acquisire strategie di relazione che lo aiutino a riequilibrare l’immagine che il figlio sta lentamente costruendosi, senza cadere nella trappola di commettere il medesimo errore del genitore alienante, ovvero quello di programmare il figlio contro di lui. Un atteggiamento di questo tipo potrebbe compromettere seriamente non solo la relazione tra di loro, ma determinare drammatiche conseguenze nella già fragile e minata psiche del bambino. Nella fase di recupero del rapporto occorre evitare le probabili provocazioni, le estenuanti polemiche e focalizzare piuttosto l’interesse soprattutto nel rievocare i periodi in cui il loro rapporto era sereno.
In che modo è possibile porre rimedio a tale sindrome, sia con riferimento al figlio che al genitore “manipolatore”?
Gli effetti sulla personalità del bambino sono devastanti e potrebbero avere un serio impatto lungo tutto il percorso della sua vita, per molti esperti pari alla gravità di un abuso sessuale. Il bambino impara a non fidarsi delle proprie percezioni e dei propri sentimenti e dipende, nel bene e nel male, dal genitore che lo programma e lo manipola. Diventa indeciso e fragile, con la conseguente disistima e mancanza di fiducia in se stesso, con incapacità a sviluppare la propria individualità e la propria autonomia. Dal momento che ha fatto l’esperienza che l’amore e il contatto affettivo possono essere abusati e possono servire a controllare e manipolare, avrà difficoltà più tardi ad ammettere l’intimità e la vicinanza, per paura di diventare nuovamente vittima di manipolazioni distruttrici dell’identità. Ne conseguono problemi relazionali che dipendono da un comportamento eccessivamente sospettoso e sequestrante da un lato, ed esageratamente distante e inavvicinabile dall’altro.
Tenuto conto di tutte queste drammatiche conseguenze, è importante che l’Alienazione Genitoriale sia riconosciuta e diagnosticata il prima possibile, con il contributo di tutte le parti in causa (genitori, giudici, psicologi, servizi sociali, avvocati) responsabili della tutela e del benessere psichico del bambino. La diagnosi di PAS è principalmente riservata ai professionisti del campo psicologico e psichiatrico che intervengono come esperti del Tribunale. Per poter intervenire è necessario che esista una sinergia tra sistema giudiziario e gli psicologi che operano in ambito forense. Nessuna delle due discipline, giuridica e psicologica, può efficacemente e significativamente intervenire sulla situazione in maniera autonoma.
In questi casi uno psicoterapeuta ha il compito di effettuare un lavoro con i genitori centrato sul bambino, insistendo sull’importanza per il piccolo di avere delle relazioni con entrambi.
L’obiettivo dei provvedimenti dovrebbe consistere, nei casi di contatti interrotti, nel riparare il contatto e i rapporti tra il bambino e il genitore alienato, nel ristabilire il dato di realtà, nel correggere nel bambino e nei genitori la percezione deformata di sé e dell’altro, nel ricostruire le relazioni distrutte, nel ristabilire una comunicazione efficace, nel riattivare le relazioni familiari, nel trattare all’occorrenza i problemi individuali derivanti dalla storia personale e, secondo la gravità dei disturbi, nel prevedere per i bambini una psicoterapia individuale.
Angela Allegria
21 settembre 2011
In AgoràVox