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La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne
La misura della sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne, risposta alternativa alla devianza minorile, trae origine dal probation system anglosassone, dal quale, però, si differenzia poiché, mentre nel modello inglese, la prova è misura alternativa alla pena e quindi posteriore ala sentenza di condanna, nel sistema italiano, essa interviene nel corso del processo e, pertanto, è definita come forma di probation processuale.
In questo modo, secondo autorevole dottrina, lo stesso processo, oltre ad essere terreno per l’accertamento del fatto, diviene strumento di intervento sulla personalità dell’imputato.
Nel sistema processuale delineato con il d.p.r. 448/88 sono evidenti l’esigenza di salvaguardare sempre e comunque il giovane dagli effetti stigmatizzanti dell’esperienza non solo carceraria, ma anche processuale, e la preferenza per la facilitazione del percorso educativo e per l’acquisizione dei valori socialmente condivisi, in termini di maggiore eticità che per gli adulti, sul presupposto della transitorietà degli episodi di devianza e comunque della superabilità della stessa.
Attraverso tale strumento si offre al minore la possibilità di impegnarsi per cambiare in meglio la propria vita, laddove la permanenza nel circuito penale potrebbe più che altro danneggiare lo sviluppo di una personalità sana e socialmente adeguata.
All’impegno del giovane non corrisponde la rinuncia dello Stato all’esecuzione della pena, bensì la rinuncia alla stessa condanna e, addirittura, alla prosecuzione del processo.
Non si deve però pensare che la messa alla prova sia un rimedio di tipo clemenziale: l’esigenza repressiva, infatti, non viene del tutto frustrata, ma soltanto posticipata, perché, in caso di esito negativo dell’esperimento, il processo riprenderà lo svolgimento ordinario.
La messa alla prova modifica l’ambito di intervento del versante giudiziario a quello educativo, l’oggetto del giudizio dal fatto alla persona, il tempo del giudizio dal passato remoto al presente e induce modificazioni nello stile di vita del minore, nel suo modo di percepirsi e, forse, nel suo modo di essere.
L’art. 28 d.p.r. n. 448/88, in cui è previsto l’istituto in esame, può essere applicato in sede sia di udienza preliminare che di dibattimento. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a 3 anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 12 anni. Negli altri casi per un periodo non superiore ad 1 anno.
I presupposti per l’applicazione dell’istituto sono: la notitia criminis, la minore età dell’imputato al momento della commissione del fatto, la capacità di intendere e di volere dello stesso, la responsabilità penale del minore, il giudizio prognostico circa il possibile esito positivo della prova e la redazione del progetto d’intervento.
Con il provvedimento del giudice, emanato dopo aver sentito le parti, il processo viene sospeso e il minore viene affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia che, anche in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, svolgono nei suoi confronti attività di osservazione, sostegno e controllo.
L’applicabilità della misura non è compromessa né dalla tipologia di reato, né da eventuali recidive. Non possono considerarsi necessariamente ostativi all’applicazione della misura i precedenti giudiziari del minore, il perdono già ottenuto per un altro illecito o persino l’insuccesso in una precedente prova. Ciò è dato dal fatto che la valutazione del giudice è incentrata sulla personalità in evoluzione del minore e pertanto non possono costituire vincoli per la decisione di mettere alla prova, fatti pregressi che non hanno nessuna relazione diretta con l’oggetto dell’analisi che è costituito dall’individuo e dalla sua attitudine al cambiamento. Questa interpretazione estensiva dell’istituto della probation deriverebbe non solo dall’estraneità delle precedenti condotte penalmente rilevanti rispetto al fatto per cui la prova è disposta, ma anche e soprattutto dalla variabilità della situazione minorile, non suscettibile di essere valutata sulla base di fattori pregressi, né casualmente né funzionalmente collegabili allo status quo .
La decisione del giudice si fonda sugli elementi acquisiti attraverso l’indagine di personalità prevista dall’art. 9 del d.p.r. n. 448/88. Molto importanti sono, infatti, le caratteristiche di personalità del ragazzo che inducono a ritenere possibile il suo recupero, attraverso la mobilitazione delle sue risorse personali e di idonee risorse ambientali: è proprio sulla base di queste risorse che i servizi sociali elaborano il progetto di messa alla prova, che deve necessariamente essere accettato e condiviso dal minore.
In una personalità in crescita, quale è quella del minore, il singolo atto trasgressivo non può essere considerato indicativo di una scelta di vita deviante. L’istituto previsto dall’art. 28 tende a non interrompere i processi di crescita del ragazzo, puntando al suo recupero sociale, considerato più probabile nel contesto sociale e familiare rispetto alla detenzione che ne comporterebbe l’isolamento.
La personalità del minore viene vista come un’entità in divenire, orientabile grazie al supporto degli organismi predisposti dalle istituzioni.
Il giudice ha un’ampia discrezionalità: egli assume le vesti del bonus pater familias e tenta di conseguire sempre l’interesse del giovane tramite una deformalizzazione dell’approccio giudiziario.
L’ordinanza di sospensione può anche contenere prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa dal reato. La possibilità di prescrizioni relative alla riparazione-conciliazione induce il minore a prendere coscienza del significato del reato e promuove l’avvio del processo di responsabilizzazione.
In caso di esito positivo della prova, tenuto conto del comportamento del minore e della evoluzione della sua personalità, il giudice con sentenza dichiara estinto il reato e il minore imputato viene prosciolto dai fatti addebitatigli. L’esito negativo comporta, invece, la prosecuzione del procedimento come previsto dall’art. 29 d.p.r. n. 448/88.
La sospensione non può essere disposta se l’imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato.
La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressione alle prescrizioni imposte.
Durante tutto il periodo di espletamento della prova viene sospeso il decorso della prescrizione. Ciò è volto ad evitare che la prova diventi il pretesto per allungare i tempi del processo, determinandone la prescrizione, e che questo timore costituisca un frano per il giudice nella concessione del beneficio.
La prescrizione dovrà considerarsi sospesa dal giorno della pronuncia dell’ordinanza fino al giorno in cui scade la durata della prova, ovvero fino a che, eventualmente, la Corte di Cassazione annulli l’ordinanza di sospensione, oppure venga pronunciata la revoca della sospensione stessa.
Ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. 272/89 il progetto di intervento deve prevedere le modalità di coinvolgimento del minore, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita, gli impegni specifici che il minore assume, le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale, le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa.
Con riferimento a quest’ultima, entra in campo la possibilità di effettuare una mediazione penale minorile, volta a responsabilizzare il minore e metterlo a contatto con la vittima del reato o dei suoi familiari.
L’importanza potenziale delle attività riparatorie e di conciliazione di cui alla norma citata, non risiede solo nel beneficio concreto e diretto apportato alla parte lesa, ma anche nel forte impulso che ne deriva al processo di reintegrazione sociale e, soprattutto, di maturazione del minore. Infatti, la riparazione del danno causato dalla condotta criminosa, oltre a soddisfare i bisogni della vittima, esercita una specifica azione educativa in quanto, stimolando la riflessione del ragazzo sul torto compiuto, potrebbe dissuaderlo del reiterare comportamenti simili per il futuro .
È bene sottolineare come il progetto di messa alla prova non può avere un contenuto esclusivamente e rigidamente prescrittivo, quasi si trattasse di una sanzione alternativa, ma deve prevedere attività nel campo dello studio, lavorativo, del tempo libero, dell’impegno sociale o della riparazione verso le vittime; tale progetto deve essere elaborato dagli operatori con la consapevole partecipazione del minore e deve essere il più possibile compreso e accettato dallo stesso, avendo finalità educative per aiutare il soggetto a trovare altre modalità di elaborazione e costruzione del comportamento. Da ciò la indispensabile valutazione degli strumenti e dei percorsi intrapresi al fine di verificare se consentano di avviare e portare avanti (e non necessariamente concludere) un processo di trasformazione .
Una volta redatto il progetto e sottoposto alla valutazione del giudice, inteso come organo collegiale, questi avrà un’alternativa: o sospendere il processo, affidare il minore ai servizi sociali e disporre la prova, ovvero emanare una ordinanza motivata con la quale nega la concedibilità della sospensione.
Tali decisioni vengono prese dal giudice mediante ordinanza motivata ex art. 125 c.p.p.
Secondo autorevole dottrina, l’ordinanza in questo caso avrebbe natura plurima: definitoria (relativamente all’accertamento indiretto della sussistenza del fatto e della responsabilità dell’imputato), descrittiva (con riferimento alla natura del progetto e dei suoi contenuti), eventualmente prescrittiva (riguardo alla riparazione-conciliatore con la vittima del reato), ordinatoria (rispetto alla fissazione della nuova udienza) .
Tale tesi, è però discussa e non accettata da altra parte della dottrina che sostiene diversamente soprattutto in riferimento alla valenza definitoria dell’accertamento della responsabilità del minore.
Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara, con sentenza, estinto il reato, se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia esito positivo; in caso contrario il processo si riaprirà, riprendendo il suo corso.
L’introduzione nel nostro ordinamento di tale istituto può ritenersi una delle maggiori espressioni di civiltà giuridica in campo minorile in quanto consente di contemperare l’esigenza del rispetto della personalità del minore con quella di difesa della collettività. Esso attualizza in termini pratici la finalità della pena, vista nell’ottica della rieducazione del reo e dell’inserimento dello stesso all’interno della società.
Bibliografia
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Angela Allegria
Gennaio 2015
In Nuove Frontiere del Diritto