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Le avventure moto-erotiche di Salvatore La Mantia
Ora è veramente felice Salvatore La Mantia. Con i soldi del cognato si era aperta la tanto sognata autoscuola. Un cruccio però gli era rimasto: la licenza era stata intestata alla moglie, anche se il nome commerciale era, appunto, Autoscuola La Mantia, la patente è già mia. Tutto a posto, prima dell’apertura: licenza rilasciata dal Ministero dei Trasporti, abitabilità rilasciata dall’Ufficio d’igiene e dei Vigili del fuoco, iscrizione alla Camera di Commercio, e poi Inail, Inps, iscrizione al consorzio Unasca (Unione Nazionale Autoscuole e Studi e Consulenza Automobilistica e tassa comunale sulla bellissima insegna luminosa appesa perpendicolare alla saracinesca, in modo da essere visibile dai futuri probabili allievi e, per concludere, il giorno dell’inaugurazione, anche la benedizione di padre Francesco.
“Un manca nenti-penso fra se il felicissimo Salvatore– con gli amici degli amici ci parlò mio suocero e feci anche la conoscenza cu ‘ntisu ra zona. Sorveglianza assoluta. Cu mi sposta chiù ri cca”
Certo non c’era paragone con i suoi lavori precedenti. Primo lavoro durato 6 anni, benzinaio e due volte la settimana anche il massacrante turno di notte. Poi la professoressa Cannone, cliente fissa, lo piglia a ben volere e grazie al fratello, titolare dell’autoscuola Gemma, viene assunto come istruttore. Il tesserino d’istruttore, un’altra conquista. Terza avviamento serale e esame brillantemente superato, anche se le cipolle e le patate non c’entravano niente con i prodotti del sottosuolo della regione Toscana. E poi l’esame di Francese. Alla domanda semplice semplice della professoressa di tradurre la parola l’equipe, La Mantia rispose che era un complesso musicale italiano, Equipe 84, e aggiunse di conoscere pure i componenti che elencò: Maurizio Vandelli, Franco Ceccarelli, Riccardo Sogliano e alla batteria il catanese Alfio Cantarella. Prima che la professoressa andasse in tilt, ad una seconda identica domanda, rispose che, enfant, significava elefante. La fantasia non era mai mancata a La Mantia, ma senza la troppo fretta nel voler fare bella figura, da enfant e infante bastava riflettere un poco che le due lingue, francese e italiano, hanno la stessa origine neolatina. “Ma chi ni sacciu di neolatino io, professoressa Cannone. U me nannu che, mi dicono era d’origine di Cammarata, diceva spesso: fila latinu, per dire ai suoi numerosi figli di comportarsi bene. E poi se Il sabato del villaggio lo ha scritto Leopardi, pazienza. Io ho detto Carducci, sempre poeti sono, no è che ho detto Giotto, quello che faceva a mano un cerchio perfetto”.
Questo era il vecchio Salvatore La Mantia, ora era un’altra cosa. Sapeva il Codice della Strada, il motore a scoppio e Diesel, e quando il titolare dell’autoscuola Gemma cominciò a chiamarlo, professore, lui gli credette davvero e da allora si faceva chiamare professore La Mantia.
In una cosa era abile il nostro giovane professore,- aveva allora 35 anni-: raccontare balle o bugie o cazzate (fate voi) con una sicurezza e minica tale da fare invidia al miglior Alberto Sordi, il suo attore preferito. Con la sua patente D, quella per interdeci che abilita a guidare autocarri e autobus, ogni tanto veniva chiamato da alcuni amici degli amici a recarsi con il treno a Messina, prendere un autocarro posteggiato nella tal via con la chiave già inserita, e senza chiedere nulla sulla merce trasportata recarsi nel tal garage a Palermo. Il tutto compensato con 200 mila lire (l’equivalente dello stipendio di 3 mesi di un impiegato medio, nda). Nessuno lo avrebbe fermato: un lavoretto facile facile. Tutto bene, ma raccontarlo al bar davanti agli allievi il giorno della “sbagnata”per l’avvenuta promozione era eccessivo. E lì giù domande non sul fatto che forse la merce trasportate erano, come era facile intuire, sigarette, ma se era difficile guidare un camion. Cosa affascinante per un neo patentato di patente B. E il professore esibiva, verbalmente, la sua abilita nel sapere fare la “doppietta” e cambiare le marce senza usare la frizione. Un meraviglia, applausi a scena aperta, per il godimento del signor Di Tripoli che conosceva l’aneddoto a memoria, ma soprattutto per il bell’incasso della giornata. Dove però era insuperabile La Mantia, i fimmini su tutti mia, erano le avventure amorose, vere o presunte, il confine era molto sottile. I suoi racconti rasentavano l’inverosimile, con fughe dalla finestra, scavalcate di cornicioni e tetti, mariti cornuti e impotenti e orgie in case di Principi, baroni e gente danarose. Un vero mandrillo, pagato, ricercato. Insomma un casanova anni Sessanta e un vero gigolò, con la “copertura” di titolare di Autoscuola.
“Ma tu credi davvero, ragazzo mio, che io sia venuta qui ad iscrivermi all’Autoscuola solo per prendermi la patente. Tutte le occasioni- aggiunse la signora Passaretti- sono buone per aggiungere qualche altro paio di corna a mio marito, il barone Alfonso Raniero Castiglia di Petrapertusa. Tu, ragazzo mio, sei il tipo giusto per trascorrere un pomeriggio in villa, mentre il Fonsi Pertusillo, va a colloquiare con l’amichetto di turno nell’altra villa a Montetorto”.
Salvatore La Mantia, fresco istruttore di 24 anni e ancora non sposato, si trova seduta accanto per la prima volta la bellissima l’ ex modella di alta moda Lilli Passaretti, sposata Castiglia di Petrapertusa. La baronessa e ormai sulla cinquantina la Lilli mantiene ancora intatte tutte la doti per far girare la testa agli uomini, figuriamoci ad un ragazzo. Alta, capelli biondi, un po’ ingrassata ai fianchi, flaccidina ma non troppo, le occhiaie ben nascosta da un sapiente trucco. Occhi azzurri, la camminata e con un accento marcatamente emiliano che vale più di mille sollecitazione erotiche messe insieme. Insomma, Salvatore non crede ai suoi occhi, crede di sognare. Mai avrebbe pensato che una donna così bella- seppure un pochino attempatella- si potesse interessare a lui. Dopo qualche giorno troviamo l’ex modella e il professore La Mantia nella villa di famiglia I numero I del Petrapertusa a passare e ripassare la lezione nei sabato pomeriggi a ruoli invertiti. Mentre Fonzi Pertusillo, trascorre i pomeriggi in quel di Montetorto nella villa di famiglia II con il pussi pussi di turno. La Lilli e Salvatore passano e ripassano la lezione del come rendere l’amore, quello fatto di solo sesso, sublime ed etereo nello stesso tempo. Etereo tanto da giustificare sempre un ulteriore ripassatina, senza stancarsi mai.
Poi la Passaretti supera l’esame di guida e molla Totò.
“No ragazzo mio. A me dopo un po’ piace cambiare. Ottimo, impeccabile e ubbidiente. Hai fatto sempre reggere il gioco a me e di questo ti ringrazio. Ti resterà, mi auguro, un buon ricordo e, se vuoi, ti autorizzo, ma con discrezione, di raccontare la nostra avventura ai tuoi amici”.
E il povero Salvatore “ammuccò” il dispiacere, ma gli rimase il bel ricordo e il potere raccontare che si era fatta l’ex modella Titti Passaretti, baronessa Castiglia di Petrapertusa, con il marito attivo e passivo (come si usava dire allora, nda), più passivo che attivo in verità. Infatti, i poveri allievi maschi dell’autoscuola, non appena cominciavano a diventare più bravini si dovevano assuppare la storia della baronessa-nifomane con il marito finocchio.
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Proverbio che però non si rapporta con Salvatore La Mantia, il quale non perde il vizio, ma mancu u pilu.
Per il povero Pietro Sanpietro, come sempre all’asciutto di pilo, ma ricco di sapienza, saggezza e voglia di pilu anche per lui. Maledetto il giuramento dell’istruttore. Sarà San Cristofaro?
Sentite questa. Una allieva da favola per Pietro Sanpietro, la signora Amalia De Priore. La signora De Priore, napoletana di Ponticelli, conosce a 18 anni l’operaio edile Antonino Cusimano, palermitano in trasferta per lavoro a Ponticelli. Ristruttura oggi, ristruttura domani, il signor Cusimano conosce la bellissima e morbidissima Amalia. Un minuto e forse anche di meno e Antonino scarica tutta la sua potenza amatoria sulla napoletana. Qualche mese dopo l’ufficio anagrafe di Palermo registra un nuovo nucleo familiare: Antonino Cusimano, marito; Amalia De Priore, moglie; Gennaro Cusimano, figlio.
Amalia De Priore, incantevole e soave di poche parole, si dimostra allieva diligente e attenta, e Pietro Sanpietro e contento.
“Senti Piero, ma ci hai provata con quella meraviglia della napoletana?
“Ma, sai benissimo –da tempo La Mantia e Sanpietro erano passati al tu- che le allieve sono come le mucche sacre dell’India: non si toccano”.
“Si u solitu sciminitu .Chiffà, cu na scusa qualsiasi la prossima lezione ci pensu ia ca napulitana e ti faccio vedere come alla De Priore ci fazzu a festa”.
“Va bene Totuccio. U giuramentu è giuramentu”.
“Ma sempri u stissu cretinu si”.
“E così dopo appena 10 minuti di lezione, giusto il tempo di arrivare in una strada poco frequentata
la buona Amalia subisce lo stesso assalto del Cusimano di qualche tempo prima.
Non una parola fra i due,ormai la napoletana guidava benissimo. Solo che adesso Amalia, seppure
In una posizione ideale prova un indicibile e inconfessabile piacere e non vorrebbero più scendere dalla macchina. Mai ha avuto a che fare con un quarantenne, brizzolato si, ma sotto le munizioni del Totuccio sono ancora ben lubrificate e pronte all’uso.
“Comu finìu?
“Sanpietro, va a cacari tu e u giuramentu. Chidda è na perla rara. Mancu ta firi a pigliare u beni chi ti manna u Signuri”.
Pietro Ciccarelli