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Peppe Drago, in buona fede, si dimette
“Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho presentato le dimissioni da parlamentare e sono qui davanti a voi per sottoporre alla vostra attenzione – ed anche eventualmente alla vostra riflessione – una questione che ha segnato la mia vita politica, ma anche quella personale. Si tratta di una questione che credo attenga anche alle prerogative della Camera dei deputati”.
Con queste parole l’On. Peppe Drago ha annunciato le ragioni delle proprie dimissioni (chieste mediante lettera il 9 novembre) alla Camera dei Deputati lo scorso 17 novembre, giorno nel quale a Montecitorio si sarebbe dovuto votare la sua decadenza a seguito della condanna per peculato.
“Dopo undici anni – continua l’ex onorevole – di calvario giudiziario, mediatico, politico, familiare e personale, la Corte di cassazione ha confermato le sentenze di primo e secondo grado, non tenendo in nessun conto la mia buona fede, e mi ha condannato per peculato”.
La condanna che era stata di 3 anni e 3 mesi in primo grado, ridotta a 3 anni in Appello, ha riconosciuto la responsabilità del deputato per peculato ed abuso d’ufficio, per avere, durante il mandato di presidente della Regione Sicilia, espletato dal 1997 al 1998, ripulito la cassa dei fondi riservati al presidente della Regione, senza averne rendicontato le spese.
Lo scorso 28 luglio la Giunta per le elezioni presso la Camera dei Deputati l’aveva dichiarato ineleggibile a seguito della condanna confermata dalla Cassazione ed ormai passata in giudicato ad una pena di anni 3 (condonata) e l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per un periodo di 5 anni.
E proprio il 17 novembre scorso si doveva procedere alla votazione. La votazione in ogni caso c’è stata perché, in base alla consolidata prassi costituzionale, le dimissioni dal mandato parlamentare, ove non motivate in relazione alla volontà di optare per una carica o per un ufficio con esso incompatibile, devono essere accettate dall’Assemblea con apposita deliberazione, che ha luogo a scrutinio segreto.
Così con 364 voti favorevoli e 208 contrari a partire dal 17 novembre Giuseppe Drago è fuori dal Parlamento nazionale.
Al suo posto dovrebbe subentrare il primo dei non eletti della stessa lista, ossia Pippo Gianni, già noto alla cronaca giudiziaria e di cui parla anche il pentito Mannoia nel 1999, definendolo un medico vicino a Cosa nostra. Ma questa è un’altra storia!
Giannì, attuale deputato regionale del Pid, partito al cui gruppo si è iscritto anche a Montecitorio lasciando invariati gli equilibri della Camera, ha due mesi di tempo decidere se andare a Montecitorio (e in quel caso a Sala d’Ercole al suo posto subentrerebbe Nunzio Cappadona, primo dei non eletti dell’Udc che adesso aderisce al Pid) o rimanere alla Regione (e allora il seggio a Roma spetterebbe a Domenico Sudano, anche lui passato al Pid).
Intanto Drago, che fa leva sulla sua buona fede e sulla assoluta inconsapevolezza di aver commesso un reato, asserendo che si tratti di “errore giudiziario”, sembra stia per proporre ricorso alla Corte di Strasburgo.
Angela Allegria
Dicembre 2010
In Il clandestino con permesso di soggiorno