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Riconoscimento e revoca dello status di rifugiato politico alla luce del d. lgs. 3 ottobre 2008, n. 159
La figura del rifugiato, seppur accomunata alle figure di immigrati e profughi dall’espatrio involontario e dalla necessità di trovare accoglienza in altro Paese, differisce da queste per la caratteristica data dall’elemento persecutorio personale o collettivo. I rifugiati, infatti, sono persone costrette a fuggire dal loro Paese d’origine per violazione dei diritti umani, ovvero quando si verifica nei loro confronti “un elemento persecutorio, personale o collettivo, per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di appartenenza ad un gruppo sociale, di opinione politica”.
Al fine di precisare quali soggetti costituiscano agenti di persecuzione la giurisprudenza europea fa riferimento al par. 65 del manuale UNHCR sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato e precisamente al punto dove si afferma che “la persecuzione è normalmente riferita alla condotta delle autorità di un Paese. Essa può essere però svolta anche da gruppi della popolazione che non si adeguano alle norme stabilite dalle leggi del Paese. A titolo esemplificativo, si può citare l’intolleranza religiosa, spinta fino alla persecuzione, che può aversi in un Paese laico ove però ampi settori della popolazione non rispettano le convinzioni religiose altrui. Gli atti gravemente discriminatori o comunque offensivi commessi dalla popolazione possono costituire persecuzione nel senso che qui rileva se vengono coscientemente tollerati dalle autorità o se le autorità si rifiutano o risultano incapaci di offrire una protezione adeguata”.
L’art. 10 della Costituzione sancisce il diritto di asilo, il quale si costituisce in base a due presupposti:
– che nel proprio Paese sia impedito allo straniero l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana;
– che siano rispettate le condizioni stabilite dalla legge per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
In ambito internazionale è intervenuta dapprima la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, la quale stabilisce nell’art. 14 che “Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo per sottrarsi alle persecuzioni. Questo diritto non può essere invocato qualora l’individuo sia ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite”, ed in secondo luogo la Convenzione di Ginevra del 1951, ratificata dall’Italia con legge 24 luglio 1954, n. 722, la quale definisce il termine “rifugiato” identificandolo con i perseguitati per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di appartenenza ad un gruppo sociale, di opinione politica. Si precisa inoltre che le disposizioni della Convenzione di Ginevra non si applicano quando si hanno seri motivi per ritenere che le persone abbiano commesso un crimine contro la pace o contro l’umanità.
Di recente la Costituzione Europea del 2004 ha previsto nel Titolo II, precisamente nell’art. 78, una norma sul diritto di asilo inquadrandolo nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra e dal protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status di rifugiato.
L’Unione Europea interviene in materia con due direttive: la 2004/83/Ce, la quale affianca alle disposizioni della Convenzione di Ginevra un sistema comunitario finalizzato a stabilire norme minime atte all’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, e, al tempo stesso, stabilire le norme circa il contenuto di tale protezione e la 2005/85/Ce la quale fissa le procedure in base alle quali le domande di protezione internazionale possano essere accolte o meno.
La direttiva 2004/83/Ce è stata recepita nell’ordinamento italiano con d. lgs. n. 251/2007, il quale, a differenza della direttiva che stabilisce la durata del permesso di soggiorno per i rifugiati in almeno tre anni e per i soggetti che godono della protezione sussidiaria di almeno un anno, con possibilità di rinnovo, prevede un regime di maggior favore per entrambe le categorie ed estende tale durata nel primo caso a cinque anni, nel secondo a tre anni.
Il d. lgs. 251/2007 prevede, quale presupposto per fondare la domanda di protezione, che gli atti di persecuzione debbano essere legati alla razza, alla religione, alla nazionalità, all’appartenenza ad un determinato gruppo sociale, alla professione di un’opinione politica. Concretamente rileva non il fatto che il richiedente sia in possesso effettivamente di una di tali caratteristiche, ma che il persecutore lo ritenga in possesso di queste ed agisca di conseguenza.
L’istanza proposta dal richiedente può essere accolta e, quindi, viene concesso lo status di rifugiato, ovvero può essere respinta se sussistono cause di diniego specificate nell’art. 10 del d. lgs. in esame, ossia la sussistenza di fondati motivi per ritenere il richiedente autore di un crimine contro la pace, di guerra o di un crimine contro l’umanità o che abbia commesso reati puniti dalla legge italiani con una pena non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci.
La concessione dello status di rifugiato può essere revocata in presenza delle condizioni indicate tassativamente nell’art. 13, ossia sussistono cause per il diniego di tale status ovvero si accerta che tale riconoscimento è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei fatti medesimi.
Il procedimento di valutazione delle domande di protezione internazionale, unico e su base individuale, può concludersi non necessariamente con la concessione dello status di rifugiato, ma anche con la concessione della protezione sussidiaria, riconosciuta a colui che non ha le condizioni sufficienti per ottenere tale status, ma che non può far ritorno nel proprio Paese di origine in quanto può subire tortura, può essere condannato a morte od essere vittima di trattamenti disumani o degradanti od essere a rischio di minaccia per la sua vita nei casi di conflitti armati interni od internazionali.
Se è il d. lgs. 251/2007 a fissare i presupposti ed i contenuti per la concessione dello status di rifugiato ovvero della protezione internazionale, le procedure sono regolate dal d. lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 il quale recepisce la direttiva 2005/85/Ce.
Tale d. lgs. delinea un’unica procedura dalla quale il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la concessione di protezione sussidiaria costituiscono due esiti possibili, ma non certo gli unici in quanto il legislatore contempla anche l’ipotesi di soggiorno per motivi umanitari, rilasciato allo straniero che non presenta i requisiti previsti dalle norme internazionali e comunitarie per l’ingresso ed il soggiorno in uno degli Stati contraenti, ma nei cui confronti un permesso di soggiorno non può essere rifiutato o revocato perché ricorrono seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
Il legislatore prevede, inoltre, in via residuale l’istituto della protezione temporanea che si concretizza in un provvedimento generale, da adottarsi secondo le decisioni del Consiglio europeo, atto che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha facoltà di emanare in occasione di conflitti, disastri naturali od altri eventi di particolare gravità verificatasi in Stati extracomunitari.
La procedura per la valutazione delle domande di protezione internazionale consiste nella presentazione di essa all’atto dell’ingresso nel territorio nazionale o, in ogni tempo, presso la questura del luogo di dimora. Essa può essere presentata anche da un minore non accompagnato garantendo in tal caso la necessaria assistenza tramite la nomina di un tutore.
Tale procedura è stata in parte modificata dal d. lgs. 159/2008, in vigore dal 5 novembre.
All’atto di presentazione della domanda il richiedente deve essere informato da parte dell’autorità dei tratti salienti della procedura: deve essere sottoposto a rilievi dattiloscopici in base al regolamento comunitario che ha istituito il sistema Eurodac ed ha il diritto a contattare l’Acnur o altra organizzazione di sua fiducia competente in materia di asilo e a farsi assistere, a proprie spese, da un avvocato.
A fronte della domanda la questura competente redige verbale contenente le dichiarazioni del richiedente e la documentazione presentata dallo stesso. Dalla presentazione di tale domanda l’autorità ha l’obbligo di procedere e di provvedere, non essendo prevista la possibilità di un rifiuto di procedere: in caso di inammissibilità della domanda questa dovrà essere dichiarata dalla Commissione territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale.
In base al d. lgs. 159/2008 tali Commissioni sono nominate non più con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’Interno, bensì con decreto di quest’ultimo, il quale, in situazioni di urgenza nomina il rappresentante dell’ente locale, su indicazione del sindaco del comune presso cui ha sede la Commissione territoriale, e ne dà tempestiva comunicazione alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Il richiedente, salvo nei casi espressamente previsti dalla legge, ha diritto di soggiornare in Italia durante l’esame della domanda in un luogo di residenza o in un’area geografica ove i richiedenti asilo possano circolare. Tali luoghi sono stabiliti dal prefetto competente con un permesso di soggiorno valido per tre mesi e rinnovabile fino al completamento della procedura.
Lo straniero che presenta domanda di protezione internazionale non può essere trattenuto presso centri di accoglienza per il solo motivo della stessa tranne che nei casi stabiliti dalla legge. È ospitato presso un centro di accoglienza:
– quando è necessario verificare la sua identità e nazionalità essendo il soggetto privo di documenti;
– quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver eluso o cercato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo;
– quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare;
– quando ha presentato la domanda essendo già destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento.
Quest’ultimo caso è stato soppresso dal d. lgs. 25/2008 e ciò ha comportato, in base al nuovo art. 21, la sottoposizione al trattenimento presso i centri di accoglienza per il soggetto già destinatario di provvedimento di espulsione o di respingimento.
Il richiedente ha l’obbligo, se convocato, di comparire personalmente davanti alla Commissione territoriale. Ha altresì l’obbligo di consegnare i documenti in suo possesso pertinenti ai fini della domanda, incluso il passaporto.
L’audizione avviene entro trenta giorni dal ricevimento della domanda e può essere esclusa nel caso in cui già dalla documentazione emergano sufficienti motivi per la concessione dello status di rifugiato. All’audizione può essere ammesso il legale del richiedente il quale ha accesso a tutte le informazioni relative alla procedura che potrebbero formare oggetto di giudizio in sede di ricorso avverso la decisione della Commissione. Tale diritto di accesso spetta anche al richiedente.
Dell’audizione è redatto verbale.
Entro i tre giorni feriali successivi la Commissione territoriale decide sulla domanda in modo individuale, obiettivo ed imparziale in base ad un congruo esame che si sviluppa in base ad informazioni precise ed aggiornate.
La decisione con cui viene respinta una domanda è corredata da motivazione di fatto e di diritto. Tale motivazione non è prevista nel caso di accoglimento della domanda. Ed in questo caso ci si è chiesti se ciò possa dare luogo a situazioni di minor tutela per quei soggetti a cui viene riconosciuta, anziché lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria.
Il rigetto della domanda può avvenire quando non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal d. lgs. 251/2007, o ricorra una delle cause di cessazione od esclusione di tale protezione prevista dallo stesso, ovvero il richiedente provenga da un Paese sicuro e non abbia addotto motivi gravi per ritenere il Paese di origine insicuro. Accanto a tali presupposti di cui al comma 1 dell’art. 32, il legislatore dell’ottobre 2008 inserisce un altro caso specificando che la domanda deve essere rigettata per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal d. lgs. 251/2007, ovvero quando risulta che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare od impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.
Avverso la decisione della Commissione territoriale non è ammessa alcuna procedura di ricorso amministrativa, ma la decisione è egualmente impugnabile nel termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento con ricorso al tribunale del capoluogo di distretto di corte d’appello dove ha sede la Commissione stessa, il quale deciderà in composizione monocratica secondo le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.
Solo nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli artt. 20 e 21 d. lgs. 25/2008, come modificato dal d. lgs. 159/2008, il termine per l’impugnazione è di quindici giorni ed è proposto al tribunale del capoluogo di distretto di corte d’appello dove ha sede il centro.
La proposizione del mezzo di impugnazione non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato a meno che lo straniero non faccia richiesta di sospensione dello stesso per gravi e fondati motivi. Tale richiesta deve essere fatta contestualmente al deposito del ricorso.
Nei casi di cui all’art. 20 co. 2 lettere b) e c), ovvero nei casi in cui il richiedente sia ospitato o trattenuto presso un centro di accoglienza, lo stesso permane all’interno dello stesso fino a che il tribunale non abbia pronunciato l’ordinanza non impugnabile con la quale decide circa la sospensione del provvedimento.
Il tribunale, sentite le parti ed assunti tutti i mezzi di prova necessari, decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso ed ha il potere di riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria.
Avvero la sentenza è possibile appello e, avverso la sentenza della Corte di appello può essere proposto ricorso per Cassazione.
Angela Allegria
Ragusa, novembre 2008
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