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Sedersi a parlare
In molti paesi africani, quando sorge una lite, ci si riunisce innanzi al l’albero più grande e li, insieme agli anziani, si dialoga per giungere ad un accordo.
Nel passato anche dalle nostre parti si andava dal “paciere” appunto per fare la pace, per ragionare di contrasti e trovare una soluzione in maniera amichevole, senza scomodare magistrati e avvocati, senza entrare fra i meandri di una giustizia a volte fin troppo lenta.
Oggi, invece, anche se è lo stesso legislatore che propone metodi alternativi per la risoluzione delle controversie, le c.d. ADR,quando si prova a parlare di mediazione ci si sente rispondere, spesso con disinteresse, a volte anche con un minimo di soddisfazione “La mediazione ha fallito, lo ha detto anche la Corte Costituzionale”. Per fortuna, innanzi a una affermazione tanto superficiale e infondata, è possibile replicare e affrontare il vero problema.
Innanzitutto bisogna distinguere fra diversi tipologie di mediazione, assimilabili nel fine, ossia l’accordo condiviso fra i contendenti, ma differenti nelle metodologie e nei tempi.
La c.d. Mediazione, sulla quale si è pronunciata la Consulta, è quella civile e commerciale ex d. Lgs. 28/2010, sulla quale i giudici costituzionali hanno solamente detto che vi è stato eccesso di delega per quanto riguarda il carattere obbligatorio in determinate materie, ma, se vuole, ogni cittadino, ogni persona può chiedere che venga instaurato un procedimento di mediazione su qualsiasi materia.
Cosa diversa è la mediazione familiare, percorso di 10 o 12 incontri, rivolto alla coppia, in fase di separazione o no, che vuole far emergere i suoi veri bisogni e quelli dei figli. Si tratta di una mediazione centrata sulla famiglia, un percorso che apre la storia delle coppie a nuove letture, tenendo presente che si può non essere più marito e moglie, ma si resta sempre genitori.
Altre forma di mediazione è quella scolastica, incentrata sui potenziali conflitti fra docenti e discenti, fra docenti, fra dirigenti e personale della scuola. Essa si sviluppa in una duplice prospettiva: da un lato la risoluzione del conflitto, dall’altro, la prevenzione e il dialogo costante.
A queste tipologie di mediazione si aggiungono quella sociale con fra cittadino e Istituzioni o fra le istituzioni, fra stranieri e istituzioni, e quella culturale, volta a superare problemi non solo linguistici, ma di mentalità e di tradizioni diverse.
Tenendo conto che il mediatore è un terzo imparziale che mira a facilitare la comunicazione fra le parti, perché, se ci lamentiamo della lentezza della macchina della giustizia, non proviamo nuovi e alternativi strumenti di risoluzione dei conflitti? Perché non proviamo nuove strade che possono risolvere i problemi quotidiani? In un periodo storico di cambiamento, anche politico (e le elezioni ne sono un segno!) perché non rinnovarsi?
Angela Allegria
Marzo 2013
In Il clandestino