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Storie criminali
Giunto a Modica in una serata di fine novembre per presentare “Il Gotha di Cosa nostra” insieme al Procuratore di Gela Lucia Lotti, magistrato referente durante il suo tirocinio romano, Piergiorgio Morosini, Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo parla di mafia ed antimafia in occasione dell’evento organizzato dall’Associazione Attinkitè.
Le intercettazioni, il processo breve, i collaboratori di giustizia, ma soprattutto la Sicilia all’indomani della cattura di Bernardo Provenzano, il ruolo delle istituzioni, l’autocritica della Magistratura, la consapevolezza dei ruoli e la capacità di assumersi le proprie responsabilità: questi alcuni dei temi della serata nella quale i due magistrati hanno illustrato i propri ruoli, Morosini è il giudice terzo, colui che deve emettere la sentenza, mentre la Lotti è un pubblico ministero, quello che volgarmente si definisce “la pubblica accusa”, il cui compito all’interno del processo è ricercare la verità.
Il dott. Morosini, già docente di diritto penale presso l’università LUMSA di Palermo, è nato a Rimini, ma ha deciso di svolgere il proprio lavoro in Sicilia, conducendo processi che hanno portato alla sbarra esponenti di spicco di Cosa nostra, fra i quali Totò Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella.
Ne “Il Gotha di Cosa nostra” si ripropone la sentenza e le indagini che hanno permesso di arrivare alla cattura di Bernardo Provenzano presentate dall’autore con uno stile composito ma estremamente chiaro, in una esposizione lineare e connotata di copiosi documenti inserti per proporre al lettore una visione meticolosa degli accadimenti di una realtà nella quale affari, politica, sanità e malaffare si intrecciano creando situazioni tutt’altro che lineari.
Si legge nella prefazione redatta da Francesco Forgione: “La sentenza di Morosini ci propone una lettura ricca e complessa degli ultimi due decenni di presenza di Cosa nostra, a partire dalla sua capacità di insediarsi socialmente in “basso” e in “alto”, tra le aree di degrado sociale – dove ha bisogno comunque di produrre consenso e rigenerare il proselitismo – e tra i ceti e le classi dirigenti della società, in quella borghesia che ritengo essere il vero problema da affrontare per sconfiggere le mafie.
Per comprenderlo, basta leggere la normalità delle relazioni tra magia e mondo delle imprese, la consuetudine dello scambio con la politica e la trasversalità a tutto gli schieramenti di questi rapporti, la natura del controllo del territorio, dal pizzo al ciclo del cemento, dall’influenza sulle scelte urbanistiche all’insediamento di centri commerciali che racchiudono in se tutte le potenzialità del rapporto mafia, economia e governo locale”.
Già la dedica “Ai magistrati caduti per non avere mai smesso di credere nelle giustizia” fa intuire la personalità forte ed acuta del giudice Morosini, un “giudice in carne ed ossa” come è stato definito dalla dott.ssa Lotti, un uomo estremamente puntiglioso, ma altrettanto disponibile e senza “peli sulla lingua”, un protagonista che possiamo conoscere attraverso le risposte alle domande che gli abbiamo proposto.
D: Perché un giudice non siciliano decide di combattere contro la mafia?
R: Nella scelta di Palermo non c’è nulla di particolare: eravamo ad un anno dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Da giovane magistrato ritenevo utile fare un passaggio in Sicilia della quale Palermo era il simbolo.
La mia doveva essere una esperienza di qualche anno per poi essere riversata all’interno mia realtà di provenienza.
Col passare del tempo però ho deciso di rimanere, in realtà, perché già all’inizio mi piaceva molto il meridione d’Italia, lavorando in questi luoghi, l’interesse e la simpatia per queste terre sono aumentati ulteriormente.
D: Da cosa nasce l’idea di pubblicare un libro nel quale spiega come si è arrivati al processo ed i suoi risultati?
R: Ho deciso di mettere in un libro la mia esperienza professionale, condividendola anche con chi non ha mai messo piede in un tribunale.
In questi quindici anni ho conosciuto diverse tipologie di persone e mi sono reso conto di diverse storie di singoli criminali, ma soprattutto ho riscontrato una fragilità nazionale che si gioca dal punto di vista sociale, economico, istituzionale e che ha portato allo sviluppo di Cosa nostra.
D: Già dalla copertina del libro si nota l’importanza che le intercettazioni hanno nella lotta al crimine organizzato. Cosa pensa del disegno di legge sulle intercettazioni?
R: Speriamo che le intercettazioni restino uno strumento incisivo nel contrasto di tutte le mafie d’Italia. Il problema è che le modifiche legislative che si stanno proponendo, se dovessero passare, rischiano di indebolire fortemente questo strumento ed inevitabilmente indebolire la lotta alla mafia.
D: E del processo breve?
R: Penso tutto il male possibile perché è una misura ingiusta che verrebbe a cancellare con un colpo di spugna migliaia e migliaia di processi in cui ci sono tante vittime che aspettano da anni Giustizia.
D: In che situazione versa oggi Cosa nostra dopo gli ultimi arresti?
R: Si tratta di uno scenario alla ricerca di nuovi equilibri.
All’interno di Cosa nostra si cerca di individuare nuovi capi ma in realtà la nuova dimensione di Cosa nostra porta a pensare che i nuovi capi non saranno persone votate esclusivamente ai delitti di sangue, ma i capi veri saranno quelli in grado di effettuare consulenze a livello finanziario, esperti nelle questioni legali e inseriti magari nei vari circuiti degli affari a livello siciliano e nazionale.
Avremo, quindi, una classe dirigente dal volto diverso, sotto certi profili meno preoccupante in superficie, ma molto più insinuante invece nelle retrovie.
D: Dal punto di vista organizzativo Cosa nostra presenta nuovamente una struttura di tipo verticistico come prima dell’avvento dei Corleonesi o si avvia verso una struttura orizzontale simile a quella adottata dalla ‘Ndrangheta?
R: Forse in questo peserà molto la storia di Cosa nostra che è improntata nell’ultimo trentennio sulla struttura verticistica anche se questa ha avuto dei costi per Cosa nostra a livello di alcune decapitazioni dei suoi punti di riferimento principali in alcuni momenti storici. Però la struttura verticistica gli consente di regolamentare meglio quelli che sono i rapporti fra diverse famiglie.
Una struttura orizzontale per Cosa nostra potrebbe portare anche a dei conflitti molto violenti fra le diverse cosche.
D: Dal punto di vista internazionale quale è il ruolo di Cosa nostra?
R: C’è il ripristino della attività del narcotraffico internazionale che viene dimostrata anche nell’operazione Gotha, dei rapporti con gli Stati Uniti, ma in realtà le stesse intercettazioni svelano anche il tentativo di apporti con Paesi sudamericani sempre aventi ad oggetto il traffico di stupefacenti. Cosa nostra cerca sempre di mirare a luoghi nei quali si possono fare affari, cerca le alleanze giuste a 360 gradi in tutto il mondo.
D: Fondamentale nella lotta alla mafia sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Cosa pensa delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino?
R: Non posso dire nulla al momento, c’è un’inchiesta in corso nella quale si verificherà se le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sono veritiere o meno.
D: Un’ultima domanda: in alcune interviste ha dichiarato di andare in giro a presentare il suo libro per “apprendere”. Cosa può ancora apprendere un giudice del suo calibro da una città come Modica?
R: Stasera ho avuto la possibilità di conoscere questa città nelle sue architetture e nel suo cuore, di percepirne la realtà, di sentire la voce di alcuni suoi cittadini e, quindi, di arricchirmi ulteriormente, e questa mi sembra la cosa più importante.
Angela Allegria
Gennaio 2010
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