16 Mar 2010

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U Tistu, ricordi, immagini di un tempo e un luogo che riempie il cuore

U Tistu, ricordi, immagini di un tempo e un luogo che riempie il cuore

Pietro Ciccarelli racconta la sua terra e la sua vita in “U Tistu”, raccolta di poesie in vernacolo Mussomelese, aprendo una finestra sugli usi, i costumi del suo paese natale, ma soprattutto offrendo al lettore immagini limpide rivissute con la mente di uomo maturo che, nel ricordare ogni minimo particolare, torna bambino. È, infatti, la gaiezza, l’allegria, il dolce suono dei ricordi a muovere i versi di Ciccarelli, una sorta di meditazione, di presentazione corale di tutto ciò che è caro al suo cuore.

Il volumetto si compone di due parti: la prima dedicata ai quadretti paesani, caratterizzata dalla descrizione degli elementi principali che connotano Mussomeli e, latu sensu, l’intera Sicilia, la seconda parte intitolata “Confessioni”, è un focus sull’autore, sul giovane Pietro che, ora bambino ora adolescente, si accosta alla vita, sogna il proprio futuro, ripensa al passato.

Ma andiamo per ordine.

La raccolta inizia con “A Bedda Matri”, poesia rivolta alla Madonna, una sorta di benedizione, non un’invocazione in senso stretto, piuttosto la descrizione della processione, della devozione per la Vergine portata a spalla per le vie del paese da giovani fedeli i quali, per grazia ricevuta, sopportano la fatica del peso e della lunga strada con stupore di chi non è del posto. “Chistu è u vuliri da Bedda Matri” risponde il poeta, sottolineando ancora una volta l’affetto e la fiducia per la Vergine capace di intercedere per la sorte degli uomini.

Si continua con “Sugnu cuntentu”, la gioia dei ricordi che affiorano alla mente, mai cancellati, anzi custoditi gelosamente nel cuore, memorie semplici, rimembranze di una vita genuina, spontanea, piena di valori e tradizioni ormai andate perdute, come “A ‘Ntinna”, l’albero della cuccagna, vissuto come il divertimento della festa “ra Madonna da Catina” con la consapevolezza che la vita è diversa, è dura, fatta di fatica e sudore che, al contrario dei guadagni facili che oggi vengono promessi, ripaga sempre.

Un velo di tristezza si coglie nelle parole dell’autore allorquando afferma “Ci pruvavanu tutti, un sulu vinciva ed era festa pi tutti”, mentre, subito dopo la contrapposizione “Ora” rende palese come i tempi sono cambiati, come l’individualismo ha preso il sopravvento, come di alberi della cuccagna ce ne sono tanti, ma la vera ricchezza è un’altra, è ne “vrazza e nu suduri”.

Nei versi di Ciccarelli c’è la musicalità dei canti intonati per le loro donne dai carrettieri che tornano dal lavoro, come quelle di mastru Tatò o Turiddu in contrapposizione a quella di zu Caloriu che sembra invece un lamento perchè, rimasto solo, canta alla moglie defunta, c’è la parola “Midemma” capace di rievocare ciò che è stato, ciò che è assopito nel cuore, ma che torna subito alla mente per ripercorrere quei giorni con gli occhi lucidi.

Nella seconda parte della raccolta, invece, i temi, per quanto simili ai primi, coinvolgono in prima persona la vita dell’autore da quando era bambino e tutti dicevano alla madre che era “buonu”, “bravo”, “spirtu”, “biddu”, all’esperienza con la morte vista attraverso “u pirtusu”, la fatica quotidiana per prendere l’acqua al pozzo (bellissima la descrizione degli strumenti usati, “langedda, catu, corda, u mutu, suli e muscuna, cupirchiu di firru e catinazzu”, che crea una immagine nitida nella mente del lettore).

E ancora le prime esperienze amorose in “A picciridda addrivata”, l’ideale del dongiovanni, u fimminaru, come Mariu che deve sposare una donna che non ama e che lo tradisce, in antitesi con l’autore che “sugnava castelli in aria e a regina da casa e mi maritavu ranni e a meglia du monnu”, l’amore che il poeta rinnova alla moglie, il desiderio di voler tornar bambino per “aviri u cori ‘nuccenti” per chiedere il meglio per sé, ma soprattutto per il figlio, per vederlo “addivintari u patruni du munnu”.

“U masculu”, “U sceccu”, “U palluni”, “I patruna” per i quali i poveri sgobbavano, per vedersi rubare metà del lavoro, l’avvento comunista e la speranza del cambiamento, il triste, amaro finale “Certu, i patruna di na vota un ci su chiù. N’aviamu unu sulu e voli cumannari pi tutti”, il ricordo del padre che tornava a tarda sera e, prima di andare a letto, nonostante la stanchezza, andava a baciare il figlio dormiente: tutti temi che conducono alla “palora”, elemento principe, origine di ogni cosa, bene essenziale, piacere dell’animo e ad un desiderio, una domanda, quasi una preghiera al Creatore “U Signurizzu, ca fa sempre cosi giusti. Picchì un ‘nvnto i stissi palori pi tuttu u Munn?”.

L’antica felicità, fatta di cose semplici, è a volte velata da una vena di malinconia, dallo sconforto, dalla tristezza, da una sorta di pessimismo che impedisce all’uomo di cambiare il proprio destino, eppure non lo trattiene dal sognare, dall’ impegnarsi per realizzare se stesso, dal rendere l’autore l’uomo che è diventato.

Angela Allegria
Marzo 2010
In www.bibliografiamussomelese.org

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