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Un giornalista scomodo: Mario Francese
“La mafia è come una congregazione di mutua assistenza che ha suoi uomini in ogni struttura dell’apparato dello Stato e della società dove li infiltra, nell’apparente rispetto della legalità, per ricavarne vantaggi puntando sulla corruzione, sull’omertà, sul rispetto. Attraverso il suo sviluppo, la mafia ha fornito negli anni possibilità di lavoro illegale o legalizzato, solidarietà, assistenza, collaborazione in ogni iniziativa le cui finalità non sono in contrasto con i principi dell’ “organizzazione”. Ma, pur assicurando collaborazione ed assistenza ad uomini inseriti nella malavita, la mafia non si identifica con nessuna delle associazioni a delinquere che proliferano nei quartieri popolari della città. Ogni gruppo può agire nell’ambito di una zona limitata in modo autonomo, purché non infranga le regole dell’”onorata società” e non ostacoli i piani delle “famiglie” che comandano. La mafia protegge questi gruppi così come alimenta ogni iniziativa parassitaria ed antisociale non allo scopo di demolire le istituzioni dello Stato ma, piuttosto, per penetrare meglio nel tessuto sociale e trarne vantaggi sempre più grandi. Nel corso degli anni, c’è stata una vistosa evoluzione all’interno dell’organizzazione, rappresentata come una piramide il cui vertice è costituito da persone non sempre facilmente identificabili che, con criteri manageriali, manovrano le fila di complessi interessi economici a livello nazionale e internazionale. Al vertice esecutivo dell’organizzazione si giunge per meriti propri, per capacità organizzativa, forte personalità, spregiudicatezza, coraggio”.
Già da queste parole tratte da un articolo di Mario Francese si intuisce la profonda analisi di fatti, eventi, episodi, eseguita con estrema cura e minuzia di particolari da un professionista indicato come simbolo del giornalismo d’inchiesta.
Francese, nato a Siracusa nel 1925, aveva iniziato come telescriventista all’Ansa di Palermo, collaborato con “La Sicilia” ed approdato alla fine degli anni ’50 a “Il giornale di Sicilia”.
Sin dai tempi dell’Ansa le sue capacità giornalistiche e l’esposizione fine e precisa dei fatti denotano le qualità di un giornalista di razza, uno che vuole scoprire la verità e vuole scriverla per informare veramente non fermandosi innanzi a niente e nessuno.
Francese scrive di mafia, di rapporti mafia politica, intervista personaggi di spicco di Cosa nostra quali Luciano Liggio e Ninetta Bagarella, intuisce già all’inizio degli anni Settanta il ruolo fondamentale dei corleonesi, denuncia, facendo nomi e cognomi, il traffico di stupefacenti e la fitta rete di rapporti che si intrecciano non solo in Sicilia, ma anche a livello nazionale ed internazionale volti alla circolazione della nuova sostanza capace di far moltiplicare i guadagni a dismisura, parla del ruolo di don Agostino Coppola all’interno dell’organizzazione, mette per iscritto gli interessi della mafia nel Belice, nella diga Gancia.
Il suo è un ruolo scomodo, una voce che non si acquieta, che urla, mettendo in luce collusioni, fornendo riscontri che risultano utili agli inquirenti.
Si legge nella motivazione della sentenza sull’omicidio Francese: “una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi, di interpretarli con coraggiosa intelligenza, e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità sulle linee evolutive di Cosa nostra, in una fase storica in cui oltre a emergere le penetranti e diffuse infiltrazioni mafiose nel mondo degli appalti e dell’economia, iniziava a delinearsi la strategia di attacco di Cosa nostra alle istituzioni”.
Per questo il 25 gennaio 1979 Mario Francese viene colpito da quattro colpi di arma da fuoco mentre tornava a casa in via Campania 15 a Palermo.
Per la sua morte sono stati condannati: Totò Riina, Michele Greco detto il papa, Francesco Madonia, Bernardo Provenzano, Raffaele Ganci e Leoluca Bagarella quale esecutore materiale.
Angela Allegria
Agosto 2009
In Il Clandestino con permesso di soggiono, anno 1, n.6, agosto 2009.
Parla la madre di Giuseppe Impastato
“Né terrorista né suicida . Mio figlio è stato ucciso!”
Felicia Bartolotta difende la memoria del figlio. E’ stata interrogata ieri dal magistrato – Dice di non sapere chi possano essere gli assassini.
“Ho solo uno scopo: riuscire a fare accertare che mio figlio Giuseppe non si è suicidato e che non era un terrorista. Io sono certa che a mio figlio hanno teso un agguato. Gli assassini hanno avuto un obiettivo: quello di fare apparire Giuseppe un sanguinario che va a fare un attentato per screditarlo agli occhi del paese, dell’opinione pubblica e dei suoi compagni di partito”.
Lo dice Felicia Bartolotta, madre di Giuseppe Impastato, il trentenne studente fuori corso di filosofia dilaniato da una bomba ad alto potenziale esplosa al km. 30.800 della linea ferroviaria Palermo – Trapani. La madre della vittima di Cinisi, ieri, al Palazzo di giustizia, è stata interrogata dal sostituto procuratore Domenico Signorino, che conduce l’inchiesta su questo episodio.
Dice Felicia Bartolotta:
“Mio figlio da qualche tempo dormiva da mia sorella Fara, per farle compagnia. Lunedì 8 maggio, io non l’ho visto. Ero uscita alle 10.30 per andare a prendere a Punta Raisi una mia cugina proveniente dalla California. Ma l’aereo atterrò con molto ritardo, alle 16”.
“Quella mattina”, continua Fara Bartolotta, la sorella, “Mio nipote si alzò tardi e uscì intorno alle 10, diretto a casa sua. Mio nipote dormiva infatti da me ma mangiava da sua madre”.
“Penso che sia venuto a casa. Quando ritornai dall’aeroporto, notai che in cucina c’erano resti di pane e salame”, aggiunge la madre.
“Giuseppe”, dice il fratello Giovanni, “avrebbe dovuto venire immancabilmente a casa per conoscere e salutare la cugina venuta dalla California e anche per cenare. Poi doveva ritornare a Radio Aut di Terrasini entro le 21 perché doveva partecipare ad una riunione politica”.
Giuseppe Impastato, 30 anni, era entrato all’Università dieci anni fa. Contemporaneamente aveva intrapreso l’attività politica. E ora a Cinisi era il leader di Democrazia proletaria. “Carattere introverso, ma affettuoso”,afferma il fratello Giovanni. “Faceva attività politica a tempo pieno. Io avevo le sue idee, ma non il tempo di svolgere attività politica. Con Giuseppe comunque, discutevo di politica. Condannava le Brigate Rosse ed il terrorismo”.
“Nel suo comizio”, ricorda il fratello, “Giuseppe era stato polemico con la mafia e con certi personaggi mafiosi. Noi, però, non possiamo dire nulla. Siamo certi che è stato assassinato ma non abbiamo alcuna idea di chi possa essere stato l’esecutore materiale di questo infame delitto”.
Otto mesi fa Giuseppe e Giovanni Impastato hanno perduto tragicamente il padre Luigi, di 72 anni, morto in un incidente stradale. Come aveva reagito Giuseppe?
“Giuseppe, aveva risentito come me della tragedia”, risponde Giovanni Impastato. “Però, per quanto avesse accusato la perdita, non ritengo che Giuseppe non sia stato capace come me, di reagire”.
E’ vero che Luigi Impastato era parente di Cesare Manzella, boss del clan di Liggio, dei Greco e di Badalamenti, fatto saltare nell’aprile 1963 con un’auto imbottita di tritolo abbandonata nella sua villa di Cinisi?
“Mio marito”, chiarisce la moglie, “era cognato di Cesare Manzella, che aveva sposato una sua sorella. Ma non capisco dove vuole arrivare”.
Un giornale del pomeriggio ha fatto martedì alcuni nomi legandoli alla tragica fine di suo figlio Giuseppe.
“Noi non abbiamo fatto alcun nome. Noi”,risponde secca Felicia Bartolotta, “non abbiamo fatto proprio né quei nomi né altri. Non abbiamo proprio alcuna idea di chi possa avere assassinato mio figlio. E poi il fatto di Cesare Manzella è lontano e con la vedova, che è sorella di mio marito, siamo in buoni rapporti”.
Il dottor Signorino interrompe la nostra conversazione. Nell’ufficio del magistrato Felicia Bartolotta ha sostato una decina di minuti. Ha riassunto praticamente quanto ci aveva anticipato lungo il corridoio della Procura.
Mario Francese
In Giornale di Sicilia 18.5.1978
Complimenti per la tua attività di denuncia anti-mafia e di ricordo delle vittime più coraggiose…
La ringrazio Professore, sono contenta di risentirLa.
Angela
Si figuri Professoressa…
Addirittura Professoressa… lo prendo come un augurio! Semplicemente Angela!