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Un sindacato per gli insegnanti di religione
L’insegnante di religione: una specie particolare o un docente come gli altri? Al fine di comprendere la sua funzione e il suo status giuridico, abbiamo fatto due chiacchere con il prof. Orazio Ruscica, fondatore dello SNADIR, il Sindacato Nazionale Autonomo degli Insegnanti di Religione.
Professore, come è nata l’idea di fondare un sindacato per gli insegnanti di religione?
L’idea è nata principalmente per una questione di Giustizia. Sin da quando ho iniziato ad insegnare, nel lontano 1983, mi sono accorto che l’insegnante di religione, pur svolgendo una attività di insegnamento altamente qualificata, era considerato un insegnante di “serie B” a livello giuridico: la nomina era a tempo determinato e veniva rinnovata di anno in anno, non esisteva l’incarico a tempo indeterminato, quello che qualche anno fa si definiva come immissione in ruolo.
Mi sono accorto che mancava questo per dare una certa stabilità all’insegnante e che bisognava lavorare affinché anche l’insegnante di religione avesse uno status giuridico.
Mi sono confrontato con alcuni amici che insegnano a Modica e ho proposto loro di rimboccarci le maniche e dare noi una risposta ai docenti di religione aggregandoli e dando loro l’idea di sognare uno stato giuridico.
I colleghi hanno accolto la mia proposta, così abbiamo stilato lo statuto che abbiamo registrato e il 23 novembre 1993 abbiamo fondato lo SNADIR.
Pian piano lo SNADIR ha avuto intorno a sé un numero sempre maggiore di iscritti a partire dalla nostra provincia, allargandosi alle province limitrofe fino al 1997, anno del grande salto, della presenza su tutto il territorio nazionale. Oggi, a vent’anni dalla sua costituzione, abbiamo sedi in tutte le regioni d’Italia e in moltissime province della nostra Repubblica.
E lo status degli insegnanti di religione?
Siamo riusciti a raggiungere questo sogno dopo molti anni di lavoro. Nel luglio 2003 il Parlamento ha approvato la legge 186/2003 che stabilisce il ruolo per gli insegnanti di religione. C’è una quota stabilita dalla legge che è fissata nel 70% da immettere in ruolo, il restante 30% è lasciato al sistema dell’incarico annuale. Il motivo per il quale si è voluta lasciare questa quota del 30% è dato dal fatto che questa percentuale doveva diventare negli anni una sorta di ammortizzatore sociale. Siccome è facile che negli anni le cattedre possano aumentare o diminuire è chiaro che questo 30% doveva servire per assorbire l’eventuale eccedenza. In realtà, in questi anni, abbiamo notato che non c’è stata una diminuzione, bensì un aumento delle cattedre.
Possiamo, quindi, affermare che l’obiettivo che ci eravamo posti come sindacato per il raggiungimento di uno status giuridico dell’insegnante di religione è stato raggiunto.
Nel 2004 è stato fatto il primo concorso per immettere in ruolo gli insegnanti di religione. Lo Stato ha verificato la preparazione dei docenti. Vorrei sottolineare che i docenti di religione sono doppiamente verificati: da una parte c’è il Vescovo che verifica i titoli di studio e l’idoneità che è anche la capacità didattica per l’insegnamento, dall’altra, il concorso che va a sondare ulteriormente la preparazione. I nostri studenti della scuola italiana hanno un corpo di insegnanti di religione doppiamente qualificato, altamente qualificato.
A questo punto la domanda mi sorge spontanea: come si diventa insegnante di religione?
Insegnante di religione dopo un percorso universitario. Con il D.P.R. 752/1985 è stato stabilito che per insegnare religione bisognava avere un titolo di livello universitario, per la scuola secondaria, o quello corrispondente per l’insegnamento per la scuola primaria. Si tratta, quindi, di un titolo equivalente a quello per l’insegnamento delle altre discipline. Oggi si richiede un titolo adeguato agli insegnamenti nella nuova scuola, adesso anche per l’insegnamento nella scuola primaria e dell’infanzia è prevista la laurea. Il D.P.R. 175/2002, ultima intesa, stabilisce che per insegnare religione è necessario avere un titolo universitario di 3+2, insomma completo. Si tratta di titoli di studio che sono agganciati alla facoltà di Teologia e vanno dalla laurea magistrale in su.
Per insegnare non occorre solo il titolo, ma anche l’idoneità da parte del Vescovo, rilasciata ai sensi del diritto canonico, precisamente dei canoni 804 e 805, che si può sintetizzare in tre verifiche: la testimonianza di vita cristiana, la competenza pedagogico-didattica e la preparazione culturale.
Per quanto riguarda i concorsi: dopo il 2004 ne sono stati banditi altri?
Ogni tre anni lo Stato avrebbe dovuto indire nuovi concorsi, ma ne ha fatto solo uno nel 2004. Abbiamo così proposto una petizione tramite la quale abbiamo raccolto 100.000 firme di cittadini italiani che chiedono il rispetto del concorso da svolgersi con cadenza precisa e puntuale e la trasformazione della graduatoria del 2004, data l’assenza di concorso, o ad esaurimento o che sia prorogata fino al 2019-2020, affinché si giunga al collocamento degli insegnanti di religione a pieno titolo nella scuola italiana. Nella petizione chiediamo anche cose che ci vengono negate da anni, come ad es., la valutazione del servizio qualora si voglia passare ad altri insegnamenti e la valutazione con criterio numerico dell’insegnamento di religione in sede di scrutinio finale perché si tratta di un insegnamento culturale, non catechistico, perché ha un obiettivo formativo che non è quello dell’adesione alla fede, ma di permettere ad ogni alunno di avere le chiavi della realtà che lo circonda. È un insegnamento, sì cattolico, ma che educa alla libertà per far vivere il cittadino in una prospettiva di giustizia e di pace e di collaborare anche con chi la pensa diversamente per creare un mondo migliore.
Si deve impartire sì un contenuto di natura cattolica, ma questo deve servire a comprendere e accogliere anche chi ha una visione del mondo differente.
Il suo concetto di insegnamento è stato sempre diverso rispetto agli altri. Lei ha sempre invogliato gli alunni a riflettere e a confrontarsi con diversi modi di pensare.
Diciamo che non è una mia particolare visione dell’insegnamento della religione. Io ho tirato fuori questa visione della religione a partire dai documenti. Ho letto cosa hanno deciso CEI e Ministero nel 1995/96 riguardo ai programmi e mi sono reso conto che non suggerivano di proporre un insegnamento catechistico, ma di mettere i ragazzi nelle condizioni di vivere meglio la propria esistenza, il che vuol dire interrogarsi sulle grandi questioni che ogni uomo si pone. Così ho realizzato con i miei alunni dei percorsi di apprendimento dove alla fine i contenuti cattolici servivano ad avere una visione del mondo accogliente.
Lo SNADIR è nato a Modica, una città dell’estremo sud. Come ha inciso questo sull’organizzazione e sul suo sviluppo a livello nazionale?
Il Sindacato non poteva non nascere nella nostra Diocesi che ha come caratteristica la visione conciliare della Chiesa, nella quale i laici non sono dei chierichetti, ma dei cristiani che devono svolgere una missione specifica per la quale sono impegnati nel mondo.
È sì nato nel profondo sud, ma on ci sentiamo esclusi dalla realtà perché abbiamo impostato lo SNADIR come un sindacato aperto alla realtà nazionale, europea e globale.
La segreteria amministrativa è a Modica, la sede istituzionale a Roma. Le nuove tecnologie ci hanno aiutato molto per quanto riguarda la consulenza su tutto il territorio.
A seguito delle riforme del mondo del lavoro, cosa è cambiato per gli insegnanti di religione?
Noi utilizziamo gli stessi strumenti degli altri insegnanti. Abbiamo fatto e continuiamo a fare diversi ricorsi. Ad esempio, per quanto riguarda il TFR: non riteniamo giusto che lo Stato trattenga una quota orientativamente di 40/50 euro al mese al docente che era legittimata nel regime del TFS ma non in quella del TFR.
C’è poi l’attività di tutela quotidiana del docente di religione: dal diniego di un permesso che spetta ma che viene negato solo per non conoscenza delle norme giuridiche alle ingiustizie che vengono perpetrate ai danni dei docenti.
Abbracciamo tutta l’attività lavorativa del docente di religione perché vogliamo che sia un insegnante contento del lavoro che svolge.
Un’ultima domanda: come immagina la scuola del domani?
Immagino una scuola ispirata alla scuola di Don Milani, una scuola che dia a tutti l’opportunità di raggiungere il successo scolastico. Per fare questo bisogna mettere tutti nelle condizioni di partire dallo stesso punto, quindi recuperare chi sta indietro per non perdere nessuno. Anche il nostro insegnamento contribuisce a livello di espressione a far sì che ogni ragazzo non sia afono innanzi a ciò che accade.
Angela Allegria
Marzo 2014
In Nuove Frontiere del Diritto