21 Ott 2009

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Via Crociferi perla del barocco catanese

Via Crociferi perla del barocco catanese

Perla del barocco catanese, avvolta da una alone di sacralità e di mistero, via Crociferi vede opere dei più significativi artisti del barocco che ne progettarono chiese e conventi, parallela a via Etnea, prende il nome dal convento dei padri Crociferi che si stanziarono a Catania dopo il terremoto del 1963.
L’accesso ufficiale è dalla scalinata di via Alessi restaurata nel 1969, per far giungere il visitatore innanzi alle chiese di S. Benedetto e S. Francesco Borgia, facendogli trattenere il fiato per la maestosità e l’incanto delle facciate.
Fondale perfetto è l’arco che collega la badia grande di San Benedetto a quella piccola attribuita al Vaccarini: si tratta dell’unico arco esistente a Catania, detto anche della passerella di S. Benedetto, che si dice costruito in una sola notte per volontà del vescovo della città e completato in tre anni.
Altra leggenda è legata all’arco, quella del cavallo senza testa, un fantasma che si aggirava per la via, ma che, come dicevano le malelingue, si vedeva in giro solamente quando, nel cuore della notte, dai conventi uscivano personaggi avvolti in mantelli o scialli che tenevano fra le braccia ben celato qualche neonato.
La chiesa di San Benedetto, ricostruita sopra le macerie della vecchia chiesa crollata interamente durante il terremoto e costata la vita a ben 55 suore delle 60 presenti, ha una facciata in pietra calcarea, composta nel primo ordine da semicolonne con capitello composito che supportano una trabeazione dentellata sulla quale si staglia il frontone spezzato che regge le allegorie della Fortezza e della Temperanza.
La piccola scalinata è chiusa da una cancellata (contenente i simboli della pax benedettina) dalla quale si affacciano le suore all’alba del 6 febbraio, per rendere omaggio a Sant’Agata con le loro angeliche voci e consegnare un omaggio floreale alla Santuzza. Finito l’omaggio l’imponente portone ligneo raffigurante scene della vita di S. Benedetto, viene chiuso per essere riaperto solo l’anno dopo nella stessa data.
La chiesa di S. Francesco Borgia, nella quale è stato battezzato Bellini, fu ricostruita fra il 1698 ed il 1736 sulle fondamenta di una già progettata da fra’ Angelo Italia e si eleva su un’alta scalinata in pietra lavica a due braccia. Il prospetto bianco comprende due ordini: nel primo si inserisce il portone centrale, sul quale si adagia un timpano spezzato sorretto da due coppie di colonne scanalate con capitello composito, mentre ai lati si elevano verso l’altro altre due coppie di colonne tuscaniche, nel secondo una finestra al centro, con timpano sorretto da lesene con capitello composito, e altre due coppie di colonne tuscaniche laterali, poste sopra le sottostanti, che sorreggono un’ampia trabeazione spezzata.
Il chiostro del convento dei gesuiti, diviso in due ordini con archi a tutto sesto sorrette da colonne tuscaniche cinquecentesche il primo e loggiato con archi ad inversione di curvatura sorretti da pilastri di chiara matrice barocca, ha un pavimento policromo dato dai ciottoli di pece nera intervallati a tasselli di pietra calcarea e decorato con motivi floreali e geometrici.
Sul lato opposto il Palazzo Zappalà e subito dopo la chiesa di S. Giuliano, attribuita al Vaccarini e datata fra il 1739 e il 1751, caratterizzata una cancellata panciuta, che segue l’andamento della facciata convessa. Anche le finestre sono chiuse da grate panciute, rifatte dopo il ventennio, durante il quale, le grate originarie finirono addirittura in California per ornare le ville di nababbi e dive del cinema.
Di fronte sorgeva un giardino pensile, sostituito, in seguito, da un palazzotto.
Alcuni ritengono che proprio all’angolo fra via Crociferi e via Sangiuliano sorgesse il tempio di Esculapio, mentre altri lo collocano all’angolo fra via Crociferi e via Vittorio Emanuele.
Superato l’incrocio, a destra due palazzi signorili: il palazzo Villaruel del Battaglia seguito dal palazzo Sturzo, che il proprietario blasonato, perse in una notte giocando a carte con il Duca di Misterbianco. Il palazzo fu ampliato fino al 1929 allorquando il duca di Misterbianco ne chiese ed ottenne l’autorizzazione al podestà. Negli anni Cinquanta la residenza gentilizia è stata smembrata in più parti vendute singolarmente nuovo proprietario il quale aveva il vizio di non pagare i propri dipendenti.
Sulla sinistra sorgono il convento dei padri Crociferi e la chiesa di San Camillo le cui costruzioni si protrassero fino alla fine del sec. XVIII vedendo l’opera di Domenico La Barbera a partire al 1723 e del Battaglia dal 1771 al 1788.
Chiude la via, in perfetta simmetria con l’arco di San Benedetto, il portale di villa Cerami, realizzato dal Vaccarini, con arco a tutto sesto bordato da due lesene con capitello ionico con volute verso l’interno e decorazioni fogliacee. La chiave dell’arco è accentuata da un capitello con conchiglia e rosa mentre sopra due galli, altezzosi, paralleli, si guardano. L’architrave ospita tre faccioni grotteschi con bocche spalancate, lo sguardo cupo e le sopracciglia aggrottate. Lo stemma dei Rosso di Cerami è sorretto da due putti e sormontato da una corona.
Angela Allegria

Ottobre 2009

In Katane, anno I, numero 8, Ottobre 2009

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